Raoul Casadei, il re delle balere che ci ha portati in tutto il mondo

Se n’è andato a quasi 84 anni Raoul Casadei, il re del liscio che ha fatto conoscere in tutto il mondo - rendendola universale - la Romagna, la quale non è solo un’espressione geografica, e neppure solo una meravigliosa terra, ma un luogo dell’anima, un modo di essere e di sorridere, cosa di cui mai come ora abbiamo bisogno. Per questo Raoul merita, e a pieno titolo, lo spazio di un editoriale. Il Padreterno, che non fa mai le cose per caso, lo fece nascere a ferragosto. Del mito italiano di quel giorno e di quelle spiagge, Raoul sarebbe stato il magnifico interprete: i bagnini, i pedalò, le piadine, le tedesche. "Ciao ciao ciao ciao mare, nel mio cuore un grande amore".

La sua canzone più nota, "Romagna mia", l’aveva scritta un suo zio, che si chiamava Secondo Casadei, secondo (scusate il bisticcio) una tradizione tutta romagnola nel dare ai bambini nomi originali e un po’ bizzarri, come il barbiere di Amarcord che si chiama Definitivo perché è l’ultimo di quattordici figli e quando è nato i genitori hanno detto basta. Ma se di "Romagna mia" lo zio Secondo aveva creato musica e testo, Raoul ne ha creato il mito, inventando un’interpretazione magistrale. Perché chi era Raoul Casadei? Come musicista e come cantante nulla di più che un animale da balera: ma un fuoriclasse del marketing. E con la sua mazurka di periferia e la sua simpatia ha contribuito a convincere milioni di turisti che il mare della Romagna è più attraente di quello della Costa Smeralda o delle Maldive.

Sono da sempre tra gli innamorati della Romagna, dove cominciai ad andare, in estate, fin da bambino. Solo un anno, da ragazzo, mi illusi di poterla tradire e andai, per un mese, negli Stati Uniti, con una di quelle organizzazioni che trovavano famiglie disposte a ospitare gli studenti. Arrivato in America, scoprii che i miei compagni di avventura erano tutti di Cesena, di Faenza, di Forlì. Un giorno ci portarono al museo di storia americana di Washington, dove fummo affidati a una guida – ci dissero – di origine italiana, che ci avrebbe parlato nella nostra lingua. Era un anziano signore, che in realtà ben poco ricordava della lingua madre. Quando fummo nel punto in cui si ricostruiva il palco del teatro in cui venne ucciso Lincoln, la guida ci spiegò: "Colpito al cuore, il presidente si accasciò su questa scarana". Una scarana, cioè una sedia in romagnolo. La sera, ci trovammo tutti a cantare "Romagna mia". Raoul Casadei era solo un cantante, la sua musica solo un liscio, il suo palcoscenico solo una balera. Ma non è un caso se ieri i siti dei grandi giornali nazionali hanno aperto con la notizia della sua scomparsa. Ci ha regalato leggerezza. La morte l’ha trovato vivo.