Martedì 23 Aprile 2024

Il re dei torroncini ai boss: non pago il pizzo

Catania, le minacce dei clan a Giuseppe Condorelli: "Ti facciamo saltare in aria". Ma lui tira dritto e li denuncia: 40 arresti

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di Nino Femiani

La pubblicità è di quelle restano nella testa, attaccata con il mastice: "Condorelli è sempre un piacere", il volto sorridente di Leo Gullotta, reso scintillante dai torroncini più celebri d’Italia, leccornia natalizia. Ora il nome di quell’azienda, fondata nel lontano 1933 a Belpasso (Catania), è diventato anche un simbolo per la campagna contro il pizzo. Il suo titolare, Giuseppe Condorelli, amministratore unico della ditta della contrada di Timpa Magna, che impiega un centinaio di addetti tra fissi e stagionali, ha sbattuto la porta in faccia agli uomini del racket. Questi hanno tentato di "farlo ragionare", a modo loro, a colpi di minacce e molotov. Ma l’imprenditore dolciario non si è spaventato e ha denunciato, facendo arrestare pupari e scagnozzi. "Penso che abbia trionfato la legalità – dice il re dei torroncini – ho già espresso il mio compiacimento ai carabinieri, mi auguro che questa operazione sia l’esempio emblematico della legalità che deve trionfare in tutte le imprese. Lavorando onestamente si può risanare questa brutta piaga che ormai ci affligge da diverso tempo". Poi una dichiarazione che suona come una sorta di manifesto dell’antimafia. "Denunciare conviene". "Noi imprenditori abbiamo degli obblighi anche sociali e non possiamo venire meno a questi. Bisogna avere fiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine. La mia vicenda personale lo dimostra. Paura? Certo c’è sempre l’alea, soprattutto quando si ha una famiglia. Ma se si vuole estirpare questa malapianta non c’è che una strada: la denuncia".

La Condorelli era finita nel mirino della cosca Santapaola-Ercolano, una delle più famigerate e sanguinarie di Cosa Nostra, fondata da Nitto Santapaola, detto "il cacciatore", mandante dell’omicidio del giornalista Pippo Fava, e condannato all’ergastolo per le stragi di Capaci e via D’Amelio che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino. Dopo il suo arresto, il clan era passato nelle mani del nipote Aldo Ercolano, ma aveva continuato a svolgere le sue attività criminali, a partire dal pizzo. Non solo.

Con l’indagine "Sotto scacco" (40 arresti), iniziata nel 2017, i carabinieri di Catania hanno scoperto che i Santapaola-Ercolano intendevano far arrivare quintali di cocaina occultati nei container di banane provenienti dall’Ecuador. Intercettando esponenti e affiliati della "famiglia" mafiosa, i militari hanno ricostruito anche il tentativo di estorsione aggravata a Condorelli, a cui fu fatta trovare una bottiglia con liquido infiammabile e un biglietto intimidatorio con la minaccia sgrammatica: "Mettiti a posto ho (sic!) ti faccimo saltare in aria, cercati un amico". Una richiesta di pizzo finita nel vuoto per il deciso rifiuto della vittima che non pagò e denunciò l’accaduto ai carabinieri. Il comportamento di Giuseppe Condorelli è però poco imitato da altri suoi colleghi. Il comandante provinciale di Catania, il colonello Rino Coppola, si sfoga: "È emerso un rilevante condizionamento da parte dei clan del tessuto economico locale con imprenditori che favorivano consapevolmente le illecite attività del clan". Per la Dda di Catania è "emblematica la posizione di Salvatore Tortomasi, titolare di una ditta per la commercializzazione di prodotti agricoli ed ortofrutticoli, che versava denaro anche in percentuale sugli utili dell’attività di impresa che, grazie alla mafia, aveva una posizione dominante nelle attività economiche esercitate".