Mercoledì 24 Aprile 2024

Il re dei pubblicitari "Quando Frank Sinatra mi mandò a quel paese Ora invento murales"

A 82 anni il genio di Sanna esordisce nel mondo della street art: "Alle scuole medie ero un asino, mi hanno bocciato due volte. Troppo poco slip e calzini: per uno spot misi in ammollo un uomo"

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Piero Degli Antoni

MILANO

Gavino Sanna, il 18 giugno ha inaugurato un suo murales a Orgosolo. Lei è stato forse il più grande pubblicitario italiano, ha lavorato a lungo anche in America, ma quanto della Sardegna è rimasto in lei?

"Io sono un sardo, sardo dentro. Mi sono anche inventato una cantina – io, astemio –, Cantina Mesa, non per vendere vino ma per raccontare la Sardegna ai giovani".

A proposito di giovani, lei a scuola non andava molto bene...

"Alle medie ero un asino, sono stato bocciato due volte. I miei genitori erano disperati. Intervenne il mio padrino, che li sgridò: “Gavino è un artista!“. Così mi mandarono all’Istituto d’Arte di Sassari, dove ottenni risultati brillantissimi. Allora avevo la passione del caricaturista, fui presentato al direttore della Nuova Sardegna, che mi volle mettere alla prova: “Fammi una caricatura del presidente Segni“. Io non sapevo da che parte cominciare ma, per fortuna, portavo sempre con me delle pagine di giornale. E in una c’era proprio la caricatura di Segni, fatta da Paolo Garretto. Lo ricopiai con la carta carbone e fu molto apprezzato. Il direttore allora mi affidò una caricatura a settimana di personaggi famosi. Avevo 13 anni. Siccome non conoscevo nessuno, andavo nel bar più frequentato di Sassari e osservavo i personaggi che arrivavano. Un giorno chiesi al cameriere: quello chi è? “Ma è Berlinguer!“".

Poi sbarcò sul continente...

"Mi fermai a Milano a salutare un giornalista sardo che lavorava allo studio Sigla. Entrai nell’agenzia, a 45mila lire al mese. A Milano non potevo abitare, troppo cara. Trovai ospitalità da mia zia, a Ospitaletto, tutte le mattine prendevo il treno che mi costava 15mila lire al mese. Mangiavo solo pane inzuppato nel latte".

Il suo primo grande cliente furono i Baci Perugina...

"Ci montammo la testa. Il fotografo – che poi da regista fece Emmanuelle – realizzò delle immagini meravigliose. Ma, quando presentammo il progetto, il direttore dell’azienda ci prese a male parole e ci cacciò. Dovevamo rifare tutto e senza soldi. Allora mi inventai una nuova campagna, mi ricordai di un bel laghetto che c’era sul Lambro. Ma non avevamo la modella, così presi la nuova segretaria appena assunta, molto carina. Il fotografo sarebbe stato uno che conoscevo, che faceva matrimoni. Il protagonista maschile ero io. Terrorizzati, presentammo la nuova campagna. Invece il direttore generale ne fu entusiasta: Finalmente!, esclamò".

A quei tempi lavorò anche con Frank Sinatra.

"Era stato messo sotto contratto per cantare dodici canzoni. Siamo nello studio di registrazione, Sinatra esegue questi magnifici brani, poi scende dal palchetto e fa per andarsene. Un momento, gli diciamo, deve ancora recitare lo slogan, “Ovunque c’è amore c’è un Bacio Perugina“. Ma Sinatra ci manda letteralmente vaff... “Ho finito e me ne vado“, e scompare. Noi siamo costernati: e adesso come facciamo? Ma arriva l’operatore che ci dice: “Guardate che ho ripreso tutto, anche questa scena“".

Lei inventò anche l’uomo in ammollo. Come le venne l’idea?

"Avevamo l’incarico di fare la campagna per BioPresto. Ma non ci piaceva l’idea di mettere a mollo mutande o calze, così pensammo di mettere a mollo un’intera persona, appunto il musicista Franco Cerri, che conoscevamo".

Poi arrivò l’America...

"Il primo incarico importante fu per la birra Miller, che voleva lanciare la birra light, coinvolgendo vari personaggi. Tra questi anche Muhammad Ali. Si aprì la porta ed entrò questo gigante bellissimo, elegantissimo. Ascoltò il nostro progetto, disse “bella idea“, ma non poteva per via della religione e per le restrizioni impostegli dalla sua scelta di non andare in Vietnam. Prima di andarsene mi diede una sua foto, sul ring: ‘A Gavino, Mohammed Alì’".

Come si trovò in America?

"Ero diventato americano, andavo nei bar, nei ristoranti, alle feste. Capii che potevo conoscere tutte le ragazze che volevo! Finché conobbi Patricia, una bellissima hostess della PanAm, e ci sposammo".

Lei lavorò anche per Nixon...

"Aveva paura dei giapponesi, della loro economia. Ci affidò una campagna per indurre gli americani a lavorare meglio. Alla Benton and Bowles volevano aprire un ufficio a Torino, mi chiesero di prenderlo in carico. Io risposi di no, ero felicemente sposato... Ancora per cinque minuti! Perché un pomeriggio andai con Patricia a vedere un film, poi, mentre tornavamo a casa, lei mi disse: “Voglio il divorzio“. Mi portò via tutto".

In Italia incontrò Pietro Barilla, per il quale inventò spot ormai leggendari...

"Presentai a lui e alla sua famiglia lo spot con la bambina e il gattino, la pasta nascosta nella tasca del padre, lo slogan ‘Dove c’è Barilla c’è casa’. Alla fine della presentazione Pietro Barilla mi portò in un piccolo ufficio. Sul tavolo era posato un pacco di pasta. Gavino, mi disse, questo non è soltanto il nome del prodotto, è anche quello della mia famiglia. Non lo scordi mai".

Incontrò anche Giovanni Rana...

"Quando morì suo padre, disse alla madre che desiderava fare tortellini. Ogni giorno, nel sottoscala di casa, con la fidanzata e una bambina, che li chiudeva con le sue piccole dita, produceva 10 chili di tortellini, poi usciva a venderli in sella a una Guzzi. Per lui avrei voluto fare degli spot con Cossiga, Gorbaciov e Pannella. Tutti e tre avevano accettato. Cossiga, che era un amico, mi chiese: ‘Mi pagano?’. Il progetto però fu considerato troppo politico e bocciato".