Il raid di Biden avverte l’Iran: stop al nucleare

Cesare

De Carlo

Ma allora non cambia nulla? Nella sostanza no. L’avevo già scritto. In politica estera i presidenti americani dimostrano quasi sempre una graduale continuità. Con una eccezione: Obama. Obama non avrebbe ordinato un raid come quello condotto ieri su una base iraniana in territorio siriano. Il che non vuol dire che Obama fosse una colomba e ora il suo ex vice un falco. Anzi. Obama, nominato per il Nobel della pace appena una settimana dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, è colui che ha fatto una guerra stupida in Libia con le conseguenze che noi italiani ben conosciamo. Che ha destabilizzato il Medio Oriente ritirando le truppe dall’Iraq e aprendo la strada all’Isis. Che ha appoggiato le primavere arabe, favorendo la caduta di dittatori amici come l’egiziano Mubarak per poi vederlo sostituito dal fondamentalista Morsi. E se non fosse stato per il colpo di Stato di Al Sissi, oggi l’Egitto sarebbe un altro Iran.

A proposito dell’Iran, il mini bombardamento di ieri può apparire in contrasto con l’apertura negoziale americana. Non lo è. Non perché pressochè simbolico e nemmeno giustificato da un mini attacco a una base americana. Biden intende inviare un messaggio. Agli ayatollah fa sapere di voler ridiscutere il patto del 2015, quello denunciato da Trump, ma senza ingenuità. È il patto che dovrebbe scongiurare un Iran con la bomba nucleare. E tramite Antony Blinken, il nuovo, lucido segretario di Stato, dimostra di non ripetere gli errori del passato. Non toglierà le sanzioni senza garanzie concrete, come fece Obama. Né scongelerà altri miliardi di fondi iraniani, come quelli arrivati a Teheran di notte su un aereo partito dalla Svizzera. Miliardi usati per praticare il terrorismo di regime nell’intero Medio Oriente. Questa è realpolitik. Ovvio che l’Arabia Saudita ne sia rassicurata o meno allarmata di un mese fa. A dispetto del caso Khashoggi. Mentre Putin, alleato della Siria, è piuttosto irritato.

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