Il ragno delle Dolomiti ha scalato l’ultima vetta Dalle Alpi alle Ande, sempre Cesare Maestri

Prima partigiano, poi grande alpinista: è scomparso a 91 anni. Arrampicava pareti di sesto grado solo con gli scarponi. Le imprese in Patagonia

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Se ne è andato il grande scalatore Cesare Maestri, il "Ragno delle Dolomiti", l’alpinista la cui storia è legata doppio filo, tra coraggio, misteri e polemiche, al Cerro Torre. Aveva 91 anni: viveva a Madonna di Campiglio. La notizia è stata diffusa ieri pomeriggio dal figlio Gian, accompagnata da queste belle parole: "Cesare ha firmato il libro della vetta della salita della vita: un abbraccio forte a chi gli ha voluto bene". Cesare apparteneva a una famiglia di attori, fece il partigiano e cominciò ad arrampicare nel dopoguerra sulle pareti dolomitiche del Brenta, mettendosi subito in luce quando, nel 1951, salì in solitaria la via Detassis-Giordani al Croz dell’Altissimo e per primo effettuò la discesa in solitaria della Paganella. Seguirono altre numerosi imprese sulle Dolomiti. Come un vero attore sapeva gestire i tempi nel discorso. Sempre sorridente, estroverso, comunicativo, Maestri cominciò così ad essere un personaggio nel mondo dell’alpinismo che in quei tempi annoverava altri mostri sacri.

L’attività extraeuropea di Maestri è indistruttibilmente legata al Cerro Torre, il mitico "Grido di pietra" della Patagonia. La montagna che per anni fu ritenuta impossibile. Con questa cima delle Ande patagoniche aprì un conto alla fine degli anni Cinquanta. Nel 1959 tentò la scalata con Toni Egger e Cesarino Fava. La spedizione si concluse con la morte di Egger, travolto da una valanga durante la discesa. Maestri dichiarò di aver raggiunto la vetta con Egger, ma non riuscì a portare prove tangibili poiché la macchina fotografica l’aveva tenuta Egger. Questo fatto sollevò moltissime polemiche. Maestri non si diede per vinto e nel 1970 tornò sul Cerro Torre, questa volta risalendo lo spigolo sud-est con l’uso di un compressore per piantare i chiodi nella roccia. Giunse fino all’attacco del fungo di ghiaccio terminale, senza però toccare la cima.

Anche in questo caso si alzarono controversie, sia per l’uso del compressore sia per la mancata scalata dell’ultimo tratto finale sul ghiaccio poroso e poco consistente, tipico del clima patagonico. Reinhold Messner sostiene, e non è il solo, che Maestri non raggiunse mai la cima. Ermanno Salvaterra, alpinista folgorato dal Cerro Torre, che inizialmente prese le sue difese, seguì la linea che Maestri aveva dichiarato, dimostrando che quell’impresa non era stata possibile nel 1959. Ma come hanno insegnato alcuni alpinisti lecchesi, che in molti ambienti vengono riconosciuti come i primi ad aver realmente salito il Torre nel 1974, non si può puntare il dito contro Cesare Maestri.

Nemmeno Casimiro Ferrari rivendicò la prima. "Io l’ho sempre difeso, lo conoscevo – commenta Mario Conti, ragno della mitica cordata vittoriosa del 1974 –. La storia del Torre è una vicenda molto particolare. Chi non ha mai vissuto una situazione del genere su una montagna come quella non dovrebbe mai puntare il dito. Lassù, da solo e in quell’epoca, è stato un incubo. Lui era convintissimo di averlo fatto e bisognava lasciarlo in pace".

"Aveva una tecnica impressionante e una forza formidabile - racconta Graziano Bianchi, guida alpina brianzola, che proprio aiutando Cesare Maestri mentre apriva la sua celebre via alla Roda di Vael nel 1960 si immerse nella sua carriera alpinistica - Il suo modo di scalare faceva impressione. Era un purosangue. Arrampicava su vie di sesto grado sia in salita che in discesa con gli scarponi. All’epoca non c’era nemmeno l’imbracatura con i gambali. Il Cerro Torre forse è stato il suo unico neo in una carriera formidabile. Non si può giudicare solo da quello. È stato un grande e basta".

Nel corso della sua attività alpinistica Maestri ha portato a termine circa 3.500 salite di cui un terzo in solitaria. Ma è giusto ricordarlo anche per l’attività di soccorritore. I suoi interventi come tecnico del Soccorso alpino non si contano come risulta dalla motivazione della giuria che nel 2011 gli assegnò a Pinzolo (Trento) la Targa d’argento della Solidarietà.

Federico Magni