Il punto di vista Politicamente corretto? Se diventa il Festival delle prediche

Sanremo visto da Lucetta Scaraffia: perché non si può più definire un evento nazionalpopolare "Ideologizzato e di parte: lo show si è trasformato in uno spettacolo di carattere pedagogico"

di Lucetta

Scaraffia

Il Festival di Sanremo, nella sua lunga vita, è stato sempre definito come nazionalpopolare, cioè come aderente ai gusti della maggior parte del pubblico sia dal punto di vista musicale che da quello delle parole pronunciate da presentatori e ospiti. E soprattutto si è tenuto sempre ben lontano dalla politica: scelta necessaria per piacere a tutti. Quest’anno la grande svolta: un festival pedagogico, che non si adatta ai gusti del pubblico, ma che vuole insegnare al pubblico che cosa pensare anche in materie che hanno un evidente, immediato, significato politico.

Anche negli ultimi anni erano comparsi temi ormai molto in voga come la libertà sessuale e l’omosessualità, presentati tuttavia come provocazioni destinate soprattutto a scandalizzare e diciamo così a far discutere. Oggi invece le cose sono assai diverse. I nuovi temi sono parte centrale delle prediche – alias monologhi – di una celeberrima influencer, Chiara Ferragni, che li sviluppa in forma di rampogna con cui colpevolizzare chi per caso si trova a non condividerli e come si trattasse di cose ovvie cui fosse impensabile muovere la minima obiezione.

Certo, molti hanno notato che la nostra oratrice è più brava a vendere rossetti che a vendere idee, ma l’operazione è la medesima. Ferragni è ambasciatrice di una morale certo molto semplificata, ma sicuramente coerente con il politicamente corretto che piace immaginare condiviso da tutti. Anche se poi i Ferragnez, guarda un po’, le loro prediche progressiste amano presentarle secondo uno schema decisamente arcaico: lui, il maschio, parla di politica compiendo atti ‘coraggiosamente’ aggressivi come fare a pezzi la foto di un membro del governo, lei, invece, molto femminilmente parla del privato, del corpo, con pose infantili quasi chiedendo protezione.

Un festival comunque che non tanto vuole ammaestrare quanto cancellare chi non è d’accordo: chi dubita ad esempio che tutta la propaganda Lgbt sia fondata, chiunque osi dire che forse le donne non sempre sono vittime, chiunque osi pensare che forse quello di abortire non può essere considerato un vero diritto alla pari del diritto di voto o che non tutto il progresso è da accettare sempre a scatola chiusa. Peccato però, viene da dire, che le persone che la pensano diversamente dal politicamente corretto, cioè tutti quelli che il festival si propone di rieducare, risultino abbastanza numerose da avere vinto le elezioni. La verità è che il nuovo festival si è ideologizzato, ha perso il contatto con il suo pubblico classico, in questo modo ha di certo aumentato gli ascoltatori ma, bisogna ricordarlo, non è poi detto che l’audience debba per forza coincidere con il consenso.

Così come bisognerebbe ricordare che se ci si avventura sul terreno della politica, se si affrontano argomenti che hanno un rilievo politico perché fanno parte anche del dibattito politico allora, in un paese democratico, sarebbe forse il caso di dare voce a tutti, non solo a una parte. Almeno se si vuole essere fedeli alla lettera e allo spirito della nostra tanto decantata Costituzione.