Guerra Ucraina, il prof: "Una sola soluzione. Mosca si ritiri e ammetta l’errore"

Vittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali. "Penso che il destino di Putin abbia davvero i mesi contati"

"Si tratta di un fatto grave legato ai nove mesi di aggressione russa all’Ucraina, ai 90 missili caduti ieri su tutto il Paese. Non credo, però, che l’incidente con la Polonia cambi niente. La Russia è sempre più isolata tanto sul piano militare quanto su quello diplomatico, come dimostra la dichiarazione unanime del G20 di condanna anche solo della minaccia delle armi nucleari. O la condanna dell’India dell’utilizzo delle scorte alimentari come arma". Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali nella facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, ha appena pubblicato "Il posto della guerra e il costo della libertà" per Bompiani.

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Frammenti di missili in Polonia (Ansa)
Frammenti di missili in Polonia (Ansa)

La pace si avvicina o si allontana?

"Si avvicina nella misura in cui si riesce a spingere indietro i russi. Si può aprire un negoziato su una tregua a partire dal ritiro dei russi su posizioni pre-23 febbraio 2022. E quel negoziato potrà riguardare il futuro delle zone occupate dal 2014 con ampia garanzia internazionale di verifica dei risultati e dovrà comprendere il risarcimento dei danni in Ucraina".

Si deve, dunque, sostenere l’Ucraina e costringere la Russia a indietreggiare fino a trattare?

"Sì. Anche perché nel momento in cui la Russia non facesse questo e si arrivasse a spingere l’Ucraina a dovere accettare una resa, le garanzie per la sicurezza ucraina non potrebbero più consistere in un accordo internazionale (come quello del 1994, violato due volte dai Russi). Ma, a quel punto, sarebbe necessario solo l’ingresso di una Ucraina ridotta nella Nato".

La Russia accetterà la presenza militare della Nato in Ucraina?

"No. Dunque, conviene anche ai russi uscire dalle terre occupate e riconoscere l’errore clamoroso compiuto. E se questo succede si potrà tornare a pensare non a una Ucraina demilitarizzata, ma a un’Ucraina neutrale".

È possibile una pace con Putin che rimane al suo posto?

"Io credo che il destino politico di Putin sia segnato. Penso che all’interno della Russia, non tanto l’opinione pubblica, ma la cerchia ristretta degli oligarchi, della camarilla che sta intorno a Putin, si renda conto del danno che sta subendo non tanto il Paese, quanto i loro interessi. E credo che Putin abbia davvero i mesi contati e che si stia già lavorando per capire come uscire da questa situazione".

Si sostiene, però, che gli Stati Uniti facciano pressione su Zelensky perché accetti fin da ora la trattativa.

"Credo che siano interpretazioni forzose. Che tutti abbiano un interesse affinché si possa arrivare a una trattativa è vero. Anche gli Ucraini. Ma che a questa trattativa si possa arrivare bloccando l’aggredito perché non siamo in grado di bloccare l’aggressore, questo non sta né in cielo né in terra".

È l’Europa, dunque, "il posto della guerra"?

"Sì, il posto della guerra è tornato a essere l’Europa per via dell’aggressione russa all’Ucraina. Serve, però, anche per noi una concettualizzazione su quale posto occupi la guerra all’interno del pensiero politico occidentale oggi dopo 78 anni di pace. Ebbene, noi abbiamo puntato tutto e con successo sulla democratizzazione come via per giungere alla pace. Oggi l’Occidente che si era massacrato in guerre intestine oltre che in guerre esterne è in pace interna. Siamo tutti democrazie, siamo tutti economie di mercato, siamo tutti società aperte".

Ma qual è "il costo della libertà"?

"Fino a quando ci sono potenze aggressive che usano la forza per modificare lo status quo addirittura senza nessun pretesto che possa essere esibito, bisogna che noi siamo capaci di pensare che la pace si difende anche combattendo chi la pace vuole distruggere. E, in questo contesto, dobbiamo essere innanzitutto capaci di fare in modo che la nostra vulnerabilità economica non si trasformi in sottomissione politica. Come si fa? Limitando la dipendenza economica dalle autocrazie aggressive".