Il problema è la scuola non i professori

Giovanni

Rossi

Se chiedi al Ministero dell’Istruzione quante scuole o classi sono in quarantena per Covid, nessuno ti risponde. Se domandi quanti sono i supplenti già entrati in servizio, la scena muta si ripete. E silenzi imbarazzati (e imbarazzanti) accompagnano ogni richiesta di chiarimento sui numeri dell’effettiva ripartenza. Suscita quindi sorpresa la generale indignazione per lo sciopero indetto oggi e domani da Unicobas, Usb e Cub a ridosso dello stop alle lezioni per il voto referendario. Una prova di insensibilità, intempestività e cinismo, secondo i sostenitori della responsabilità nazionale al tempo della pandemia.

Il riflesso d’ordine della politica, della burocrazia e ora anche del buon senso, condanna l’antagonismo sindacale come una recita fuori tempo massimo. Quasi che la mobilitazione di una o più categorie – in questo caso docenti e personale Ata – sia il problema anziché la sua rumorosa denuncia. Una politica che non si è fatta scrupolo di calendarizzare referendum ed elezioni regionali a una sola settimana dalla riapertura delle aule non ha titoli per criticare lavoratori che chiedono un’istruzione pubblica adeguata agli standard contemporanei.

Smascherata dal Covid, la scuola italiana mostra falle strutturali che impongono una straordinaria mobilitazione del Paese. Per questo ogni faro acceso sull’istruzione – che sia uno sciopero discutibile ma legittimo, oppure una manifestazione come quella di sabato prossimo a Roma con confederali e autonomi – merita la massima attenzione dei cittadini. Il problema dell’Italia oggi è la scuola, non il bon ton dei sindacati.