Raffaele
Marmo
Dobbiamo essere tutti consapevoli innanzitutto di quale sia la posta in gioco. Ebbene, sul versante delle attività economiche non vi è dubbio che la chiusura alla Russia comporta per noi ricadute pesantissime per settori che vanno da tutti i comparti del Made in Italy all’alimentare, dalla metalmeccanica alla tecnologia, ai servizi bancari e assicurativi. Per non dire del turismo, come sanno bene gli operatori delle coste e delle città d’arte.
Ma le onde più larghe della bufesa sono quelle dei rincari dell’energia che si abbattono trasversalmente su imprese e famiglie: dal gas all’elettricità ai carburanti. È possibile che soprattutto quest’ultimo scenario ci faccia capire quali e quanti errori, dal nucleare fino ai rigassificatori, siano stati compiuti dalle classi dirigenti politiche e culturali (soprattutto di sinistra, fino ai grillini) che hanno governato dagli anni Ottanta in avanti. Ma oggi la domanda imperativa è un’altra: siamo disposti a pagare i prezzi che le sanzioni ci impongono in nome della difesa delle democrazie? La risposta più realistica è quella che ha dato lo stesso premier:
a condizione che siano sostenibili per imprese a famiglie. Ma la sostenibilità non può che implicare – dobbiamo esserne consci – nuovo debito.