Il prete-dj spopola su TikTok. "Si fa religione anche col rap"

Grazie ai suoi video musicali ha conquistato i giovani. "Dobbiamo ascoltarli e oggi il loro mondo è quello"

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Anche Dio ha il suo dj. Un 44enne genovese, estroverso, dai folti capelli corvini stretti in una fascia, che qualche tempo fa ha lasciato le consolle delle discoteche per far ballare e divertire i giovani in oratorio, al ritmo della fede. Il prete, che non ti aspetti, si chiama don Roberto Fiscer e, con i suoi video accattivanti e ironici, è diventato popolarissimo fra i giovanissimi utenti del social TikTok. Lui reppa passi del Catechismo, scherza sull’outfit di un parroco, un po’ giovane marmotta per l’Estate ragazzi, un po’ sacerdote tridentino in vista delle messe altisonanti; reinterpreta a suo modo tormentoni come Andiamo a comandare; non esita a truccarsi per dire a pelle il suo no alla mafia e al nazismo. Messaggi immediati, espressi con slang e gesti comuni alle nuove generazioni, in un connubio che fa breccia tra i post millennials.

Don Fiscer, che cosa le è saltato in mente?

"Non serve a niente giudicare i nostri adolescenti, c’è bisogno piuttosto di ascoltarli, abitare il loro mondo che oggi è anche e soprattutto Internet. Per uscire a cercare la pecorella smarrita sono convinto che anche Gesú posterebbe un video musicale su TikTok".

Dica la veritá, lei non è nuovo 'a colpi di testa' nel nome di Dio...

"Ho deciso di diventare prete dopo la Giornata mondiale della gioventú del 2000, a Roma. Là ho incontrato alcuni sacerdoti, che, superando certi stereotipi clericali, riuscivano a coinvolgere e fare entusiasmare i ragazzi. Con questo spirito, una volta presbitero, ho promosso una discoteca cristiana sulla spiaggia di Genova, alcuni anni fa. Il Signore non va mai in vacanza, ti cerca anche al mare, poi ognuno è libero di farsi coinvolgere o meno dalla gioia della fede. Adrenalina pura, purissima".

Di preti social è pieno il web, ma lei non dice la messa in streaming, lei balla e canta, quasi fosse un animatore di un villaggio turistico.

"Ho fatto anche quello nella mia vita precedente e metto quest’esperienza a servizio del ministero sacerdotale. Non voglio che i ragazzi mi seguano, non m’interessa imporre il mio pensiero, preferisco andare io dietro di loro. Fare un pezzo di strada insieme: esiste anche una Chiesa altra rispetto a quella bacchettona dalla quale magari si sono allontanati".

Missione compiuta?

"Tanti giovani mi scrivono in privato per raccontarmi le loro storie. Quanta sofferenza e incomprensione in quei racconti. Se riesco a riannodare il filo del dialogo, anche solo con uno di loro, mi sento strafelice".

Per i cattolici ultraconservatori lei sta esagerando: che cosa risponde?

"Purtroppo con loro è impossibile confrontarsi. Ti mettono all’indice e basta. Eppure il mio è solo un modo per andare incontro a chi altrimenti non metterebbe piede in chiesa. È una porticina che si apre, anche a costo di passare per buffone".

Con lei diventa più facile per un adolescente accostarsi al confessionale oppure, sotto una veste informale, si nasconde un parroco vecchio stampo, stile 'quante volte, figliolo'?

"No, no, non è il mio genere. Senza nulla togliere al confessionale, trovo molto più importante una chiacchierata per strada con i ragazzi. Il sacramento, per chi lo chiede, si amministra anche facendo due passi".