Giovedì 18 Aprile 2024

Il Pil cresce, ora servono le riforme

Occasione storica

Bruxelles vede l’uscita dal lungo e terribile tunnel della pandemia con previsioni che anche per l’Italia risultano migliori delle attese. Ma la ripresa possibile e a questo punto annunciata dalla Commissione europea può essere un significativo ma in qualche modo scontato rimbalzo, dopo quindici mesi di crollo dell’economia mondiale, o la piattaforma e la base per un cambio di paradigma che permetta al nostro Paese di uscire dal lungo inverno delle riforme a metà e dalla conseguente trappola della bassa crescita. "Sta in noi", per usare un’antica espressione di Donato Menichella tanto cara a Carlo Azeglio Ciampi e sicuramente a Mario Draghi.

Sta in noi decidere, dunque, se vogliamo tornare a sopravvivere o se intendiamo riprendere a crescere strutturalmente. Il bivio dell’Italia e della sua classe dirigente, insomma, è sempre lo stesso: riprendere a vivacchiare più o meno stentatamente o cogliere l’ultima occasione, offerta dal Recovery Plan, per una nuova corsa. È questo, in fondo, il messaggio che lo stesso premier ha più volte rivolto ai partiti, al Parlamento, alla comunità nazionale. Lo ha fatto anche quando non era ancora a Palazzo Chigi, a cominciare dalla distinzione tra "debito buono" e "debito cattivo". Lo ha ripetuto con forza nei passaggi più solenni di questi ultimi mesi e, principalmente, in occasione della presentazione del Piano italiano di ripresa.

L’Italia, almeno negli ultimi due decenni (ma anche da prima), ha perso terreno, rispetto agli altri partner europei, su molteplici fronti: dalla produttività alla competitività, dagli investimenti ai ritardi infrastrutturali, dalla ricerca all’istruzione. Il risultato è stato quello di una crescita del Pil tra lo 0 e l’1 per cento. La pandemia ha moltiplicato in modo esponenziale effetti e rischi delle nostre debolezze strutturali. Si può dire che abbiamo toccato il fondo. Ma si può dire anche che a questo punto, grazie alle risorse del Recovery Plan, abbiamo la chance storica di incidere chirurgicamente sui freni decisivi del nostro destino economico e sociale. E, dunque, non ci possono essere più alibi per non fare rapidamente le quattro, cinque riforme radicali – Pubblica amministrazione, giustizia, fisco, concorrenza, scuola - dalle quali dipende la ricostruzione del Paese e il futuro dei nostri figli. Siamo, dunque, di nuovo sul crinale: la possibilità di cadere giù e quella di salire verso l’alto dipende solo dagli uomini che hanno in mano le leve del potere a tutti i livelli. Se a prevalere sarà l’etica dello "sta in noi", come l’ha chiamata anche l’attuale governatore di Bankitalia, i risultati non mancheranno.