Sabato 20 Aprile 2024

Il Pd teme un altro flop primarie A Bologna e Roma i big in campo

Letta oggi in Emilia, ieri a Tor Bella Monaca per sostenere Gualtieri. Nella Capitale ammesso il voto online

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di Antonella Coppari

Dita incrociate e scongiuri a pacchi al Nazareno. La prova di domenica è importante e il presagio torinese non si può certo definire fausto. Le primarie fanno parte del Dna del Pd: un flop nella consultazione del 20 a Bologna e Roma sarebbe disastroso. Pessimo segnale per l’oggi, viatico ancor più grave per il futuro. Nel capoluogo piemontese è andata come è andata, e fioccano le giustificazioni: "Sono le prime attività post-Covid, la partenza è lenta. 12mila è una cifra importante: sempre meglio che decidere in 2 come fanno a destra", spiegano Letta e i suoi colonnelli. A Roma e Bologna la faccenda è diversa. Nella città emiliana la competizione è reale, una vittoria della candidata di Italia Viva, Isabella Conti ("Mi candido da indipendente", precisa lei) e dunque una percentuale esigua di votanti farebbe scattare l’allarme rosso. Pietra di paragone il dato di dieci anni fa, quando i partecipanti furono 28mila. I tempi sono cambiati, per 20mila votanti i democratici ci metterebbero la firma.

La "madre di tutte le battaglie", per dirla con il leader Pd, resta Roma non tanto per la competizione tra i 7 candidati nella quale la vittoria di Gualtieri appare scontata, ma perché solo una forte affluenza tirerà la volata in una sfida che nonostante la debolezza del ticket schierato dalla destra resta difficile. Qui i vertici Pd non si fanno sconti: "Nel 2016 votarono 40.000 stavolta devono essere 40.001", avverte il segretario del Lazio, Bruno Astorre. Poiché il voto non è solo nei gazebo ma anche online, con tutto quel che ciò comporta, facile che ci arrivino.

Letta si vuole giocare la partita delle amministrative: ieri è andato a Tor Bella Monaca con l’ex ministro dell’Economia ("arriverà al ballottaggio e vincerà"), stasera sarà a Bologna per Lepore. Ma ha l’occasione di scendere in campo in prima persona: candidarsi nel seggio di Siena significherebbe non solo zittire chi lo critica per essere stato paracadutato da Parigi ma aver anche sottoporre al vaglio degli elettori la sua linea. È un collegio sicurissimo ma per uscire a testa alta dovrebbe essere portato a Montecitorio a furor di popolo: di qui l’esitazione. C’è di più: la linea del partito che dovrebbe illustrare è tutt’altro che chiara, come emerge dalle dichiarazioni di ieri: "L’alleanza con M5s è semplice buon senso: il 40% egli italiani vota per Salvini e Meloni, noi dobbiamo costruire un’alternativa". Ovvero: non possiamo fare a meno dei grillini, senza consegnare il paese alla destra. Poi però aggiunge: "Io lavoro per un Pd e un centrosinistra forte". Offre un contentino alla fronda interna anti-cinquestelle, esponendosi all’accusa di calcare di nuovo i sentieri dell’anti-berlusconismo come collante per la coalizione. Non che la logica convinca gli scettici: Marcucci cita Salvemini, che diceva no a rapporti troppo stretti con il Pci, per bocciare abbracci "soffocanti" con M5s (dubbi condivisi dal vincitore delle primarie torinesi, Lo Russo). Se la campagna elettorale dovesse avere come vessillo l’obbligo di un’alleanza per fronteggiare la destra sarebbe ben poco entusiasmante.

In attesa della prova di domenica, di galvanizzante per ora c’è il sondaggio Ipsos: Pd primo partito, Salvini al terzo posto. Letta lo impugna, usandolo a sostegno della scelta di appoggiare le scelte di Draghi: "Con lui noi cresciamo e Salvini scende". Conti alla mano non gli si potrebbe dare torto, sempre che quei conti siano precisi. I primi a dubitare sono al Nazareno, dove con la dovuta discrezione fanno notare che ci si può sperare certo, il segnale è comunque positivo, tuttavia se si guardano tutte le rilevazioni e si fa la media settimanale il responso è diverso. Al primo posto, pure in calo, resta Salvini.