Il Pd in festa giura fedeltà a Draghi Ma già si parla di elezioni anticipate

La linea Letta: "Coalizione larga. Il voto? Potrei chiederlo ma non lo faccio". L’altro scenario: subito il congresso

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di Ettore Maria Colombo

"Le schiaccianti vittorie di Milano, Napoli, Bologna e delle suppletive a Siena con l’elezione del segretario Letta. Gli ottimi risultati in tutte le grandi città che andranno al ballottaggio, a cominciare da Roma, dove si è giocata la partita più complicata. I numeri parlano chiaro: il Pd e il centrosinistra sono i vincitori di questo voto". Chi lo dice? Enrico Letta? No. Allora Orlando o Provenzano, la sinistra del Pd? No. Allora Zingaretti o Bettini, che ha imposto Gualtieri? Macché. Lo dice Alberto Losacco, deputato dem. "Losacco, chi era costui?". Ecco, Losacco, ai più non dice molto, ma è un deputato di fede franceschiniana ‘osservante’, uno dei tessitori, sottotraccia, di Area dem (la corrente di Dario) che da sempre, dall’era Veltroni, decide nel Pd il bello e il cattivo tempo: chi, per dire, deve fare il segretario, chi il premier (o viceversa, dipende). Ecco, se lo dice Losacco, allora vuol dire che è vero. Il Pd ha vinto le elezioni ed è diventato il primo partito d’Italia.

A non crederci, sulle prime, sono quelli del Pd. Un successo così vasto non se lo aspettavano. Le prime dichiarazioni sono guardinghe. Ci vogliono ore prima che prendano dimestichezza con un successo elettorale cui da tempo non erano più abituati. E poco importa l’altissimo astensionismo. O che, tra grandi centri e piccoli e medi, le differenze si scopriranno vistose. O che, ancora, nelle grandi città, siano andati a votare solo i ceti borghesi, e non le periferie. O la sonora batosta in Calabria.

Serve, dunque, che intervenga il segretario del Pd, Enrico Letta, che incassa pure la rotonda vittoria di Siena, per celebrare con i giusti toni la vittoria: "Abbiamo vinto sul territorio, non su Twitter o nei salotti – dice il neodeputato dem –. Siamo tornati in sintonia con il Paese. Cinque anni fa al primo turno erano zero". "Abbiamo dimostrato che la destra è battibile, ma, ammette, "stavolta ha sbagliato completamente la campagna elettorale. Vinceva quando aveva un federatore, Berlusconi. Senza lui, non vince più". "Questa vittoria – scandisce Letta, tra gli applausi e la commozione dei suoi, molto più ebbri di lui – rafforza l’Italia e rafforza il governo Draghi".

Ma la frase ‘politicamente’ impegnativa è questa: "Si vince solo se si allarga la coalizione andando oltre il Pd. Noi potremmo chiedere il voto, ma non lo faccio", dice Letta. Ecco, i riformisti dem – quelli dell’area Lotti & Guerini – solo a sentir dire che bisogna andare oltre il Pd, cioè "a sinistra", di solito mettono metaforicamente mano alla fondina della pistola, ma stavolta non fanno un fiato.

Il concetto, del resto, è facile da spiegare e capire: il centrodestra è diventato “destra-centro“ (e perde), "di qua" – direbbe Bersani – c’è “solo“ la Sinistra, quella con la S maiuscola. Va dalla sinistra di Elly Schlein (Bologna) a quella ecologista e radicale (Roma, Napoli) fino a quel che resta dei centristi che ci stanno. I centristi finti, Renzi&Calenda, non servono. Sarà questo il Pd del futuro? Un Pd "de sinistra"? Si vedrà.

È certo però di essere diventato il primo partito e i 5Stelle possono ambire, casomai, a fare da junior partner. La vittoria, il Pd – direbbe Arturo Parisi, capitano in seconda dell’Unione come dell’Ulivo di Romano Prodi (il quale ieri sera ha brindato a "una vittoria indubitabile del Pd e di Letta che ha messo insieme una larga coalizione") – può solo sprecarla e sporcarla.

Letta, non a caso, si mostra assai accorto, dice che "molti di questi risultati li condivido con Zingaretti per il lavoro impostato prima del mio arrivo" perché "non c’è nessun supereroe". Supereroi no, un eroe, sì. Da oggi, oltre che il leader Pd, è pure deputato, non “semplice“, dem. Il “gran ballo“ del Quirinale e le prossime elezioni politiche le guiderà lui, e nessun altro. La frase sulle elezioni fa capire che il segretario dem non scarta del tutto l’idea di andare al voto nella primavera del 2022. D’altra parte c’è anche chi tra i suoi lo consiglia di "chiamare" il congresso Pd, sempre in primavera. Lui non scarta l’idea. Sempre che proprio in primavera la situazione precipiti e si aprano le urne.