Lunedì 23 Giugno 2025
ENRICO BRIZZI
Cronaca

Il patto tra generazioni allo stadio. Nonni e nipoti uniti dal trionfo

Con la vittoria della Coppa Italia all’Olimpico la leggenda di questa società verrà tramandata. Così lo slogan del club ’Siamo una cosa sola’ si è concretizzato. Il racconto dello scrittore

Il patto tra generazioni allo stadio. Nonni e nipoti uniti dal trionfo

Roma, 16 maggio 2025 – Giovedì mattina apro gli occhi in un letto che non è il mio, e riconosco la sagoma dell’amico Giorgio di spalle alla finestra, circonfuso dalla luce inconfondibile di Roma. Sul dorso della sua felpa spicca una stampa che inneggia al Bologna, e nello spazio di un istante realizzo che è tutto vero: il Bologna ha vinto la Coppa Italia. La carestia di trofei lunga più di mezzo secolo è terminata, la biblica traversata del deserto si è protratta sette volte sette anni, più un paio di stagioni in cui la speranza è tornata ad affacciarsi, dapprima timida poi sempre più decisa. E noi che abbiamo creduto senza bisogno di vedere, solo per forza di fede, ora abbiamo una certezza: non sognavamo, davvero il Bologna poteva tornare a guardare in faccia le cosiddette “big” e vincere un trofeo.

Il patto tra generazioni allo stadio. Nonni e nipoti uniti dal trionfo
Cesare Cremonini all'Olimpico per tifare il suo Bologna

Servirà tempo, io credo, perché la dirigenza del club, mister Italiano e i ragazzi realizzino cosa significa per Bologna questo exploit: ci hanno rimessi in connessione con un’antica gloria che per noi ha i volti e le voci dei nonni, degli zii, dei genitori, una gloria che da oggi ha trentamila testimoni in più. Sugli spalti dell’Olimpico ieri erano fianco a fianco pensionati e ragazzini, nonni e nipoti, così che il ricordo del 14 maggio ‘25 e delle sue emozioni travolgenti resterà a lungo sotto i portici. Una Coppa Italia vinta a Milano si ricorda appena; qui a Bologna, con tutta la fame che avevamo, basta per rendere la squadra immortale e garantire che la leggenda del Bologna si perpetui per generazioni. (L’unica possibilità di rendere più opaco il ricordo sarebbe vincere ancora, e in tal caso nessuno se ne offenderebbe).

Ma torniamo a mercoledì, la giornata epica in cui tutto il Dall’Ara si è trasferito a Roma. Nessuno aveva mai partecipato a una trasferta tanto numerosa e solo i più anziani potevano avere memoria di una finale. Dev’essere per quello che al piano sotterraneo di Bologna centrale, trasformato in presidio rossoblù, avevamo una gran tensione addosso. Si raccontava di pullman mai arrivati a raccogliere i tifosi e di guai logistici; si parlava di tavoli da prenotare per una gricia o un’amatriciana, di bar individuati in maniera strategica a ridosso di Ponte Milvio, punto di raccolta felsineo. Una volta giunti a Roma nessuno osava parlare del dopo, come si avesse timore di guastare i sogni. La parola “vittoria” era bandita per ragioni di scaramanzia, al massimo qualcuno osava la perifrasi “dovessimo non perdere”. Alle cinque di pomeriggio Via Flaminia si era ormai trasformata in un serpentone rossoblù lungo due chilometri. Più che benevoli, i cittadini romani non smettevano di dirsi dalla nostra parte. Fra piazza del Popolo e le macchie di Monte Mario, Milano è impopolare: non era andata così anche nel ‘64 contro l’Inter?

Man mano che si riaccendevano i ricordi, saliva il timore. Saremo condannati per sempre a essere fieri di un’antica nobiltà, o potremo andare orgogliosi di una Coppa vinta sotto i nostri occhi? Ci sentivamo a un bivio. Perdere avrebbe comportato una depressione collettiva di proporzioni difficili da immaginare, e mister Italiano si sarebbe sentito ribadire la sua scarsa fortuna nel leggere le finali. Per liberarci dalla paura e tenerla lontana dal cuore dei giocatori, appena guadagnati i nostri posti sugli spalti abbiamo iniziato a cantare. Siamo andati avanti per ore, mentre vecchie e nuove bandiere sventolavano in Curva Nord. Con tutto il rispetto per un club come il Milan, i suoi giocatori sono apparsi meno vogliosi di vincere rispetto ai nostri, e certo i loro tifosi arrivati da mezza Italia non vedevano la Coppa Italia come la vedevano noi: la svolta di una vita, la possibilità di affrancarsi freudianamente dai genitori, di regalare un futuro alla passione per la squadra della città.

Dopo il gol di Dan Ndoye c’era chi tremava e chi si mordeva le nocche. Vedere il traguardo più vicino faceva salire la paura: un attimo di distrazione, e sarebbe stato un guaio difficile da risolvere. Il contesto era diverso, ma era inevitabile pensare a quanto accaduto pochi giorni prima contro i Rossoneri: vantaggio rossoblù prima degradato a pareggio, poi convertito in un feroce 1-3. La gestione di palla dei ragazzi e la ratio dei cambi attuati da Italiano hanno ravvivato la brace delle speranze. Si poteva vincere di corsa e d’intelligenza, come poi sarebbe accaduto, ma più correvano i minuti più si faceva molesta la paranoia di subire il pareggio e ritrovarsi ai supplementari. “Giuro che vado a San Luca a piedi tutti i giorni per un mese”; “chiedo scusa alla mia ex”; “cambio vita. Giuro che faccio il bravo”. Se ne sentivano di tutti i colori, nei minuti di recupero, con gente che implorava l’arbitro di fischiare in fretta la fine.

Quando è arrivata davvero, non sapevo se ridere o piangere. Erano con noi anche i fantasmi dei pionieri della Cesoia e dello Sterlino, il pubblico in bianco e nero del Littoriale e quello a colori pastosi del Comunale, vivi e morti tutti assieme, e finalmente mi è parso di capire quanto sia azzeccato lo slogan del Bologna di Saputo: We are one, “siamo una cosa sola”. Mentre rientravamo increduli e commossi, sono arrivati via telefono i complimenti da amici tifosi di altre squadre, milanisti compresi. Siamo una “gran bella cosa”, la squadra di Serie A che negli ultimi 5 anni ha maggiormente incrementato i suoi simpatizzanti, con un aumento di oltre il 40%. È un’avanzata che può lasciare perplessi i tifosi storici, ma si tratta di un patrimonio di affetto che può solo giovare al club e propiziare un futuro più ricco di soddisfazioni. Quanto al presente, davvero non sapremmo cosa desiderare di più. La felicità è qui, finalmente, e se saremo capaci di viverla con un cuore solo nessuno ce la potrà mai portare via.