Giovedì 18 Aprile 2024

Il patriarca che benedice la guerra Kirill, se questo è un cristiano

Per il capo degli ortodossi le nozze gay sono peggio di un genocidio. Dal 24 febbraio sostiene l’invasione

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di Lucetta

Scaraffia

Se si guarda a Kirill, patriarca di tutte le Russie, sembra di venire trasportati indietro nel tempo. Non sono solo le parole, decisamente desuete, con cui ha benedetto l’invasione dell’Ucraina, considerata una "guerra metafisica contro le forze del male" (in questo caso rappresentate dal degrado morale dell’occidente), o con cui ha approvato ogni forma di combattimento dei soldati russi "per difendere la loro patria" dopo la scoperta degli orrori perpetrati a Bucha. Desueta è anche la sua vita: figlio e nipote di preti, destinato quindi a fare carriera nella chiesa ortodossa – a partire da Leningrado, sua città natale, che è la stessa di Putin – e a farla come fedele alleato dello stato, quale esso sia.

In questa storia apparentemente lineare si intrecciano però anche elementi diversi: suo nonno è stato relegato da Stalin nei terribili gulag delle isole Solovki, accusato di fare attività religiosa, cioè di non essersi allineato alle direttive del regime comunista. Vladimir invece – è questo il nome laico di Kirill – nel regime si trova benissimo, tanto da diventare negli anni settanta agente del Kgb. La sua carriera religiosa avviene quindi sempre sotto l’ombrello protettore della politica, e in particolare dell’amico personale Putin.

Kirill, dopo la nomina a patriarca di Mosca nel 2009, sa bene come si deve muovere un capo religioso di questi tempi, e si distingue come paladino della pace. Dal 2006 è co-presidente della Conferenza mondiale religiosa per la pace e, forse anche in tale veste, nel 2011 si reca in Siria alle soglie del conflitto, rivolgendosi ai contendenti con un appello: "Si può risolvere ogni problema pacificamente, con il dialogo. L’essenziale è che non venga versato sangue". Nel 2012 promuove un viaggio in Polonia per rappacificarsi con gli ortodossi polacchi. Infine, nel 2016, l’incontro a Cuba con papa Francesco lo lancia anche come protagonista dell’ecumenismo.

Ma si tratta di una facciata piena di crepe: Kirill non ha remore nell’appoggiare la campagna di riabilitazione di Stalin, e comincia a pregare pubblicamente perché alla santa Russia non venga meno la chiesa ucraina, dove ormai gli ortodossi sono divisi in tre comunità, di cui una sola ancora legata a Mosca. Non è una questione di poco peso: per gli ortodossi russi il legame con Kiev, luogo di fondazione della loro chiesa, è simbolicamente fondamentale, e così più in concreto l’appartenenza alla loro chiesa delle popolose e ferventi comunità ucraine: senza gli ucraini il patriarcato di Mosca è poca cosa, perde la possibilità di presentarsi come alternativa al patriarca di Costantinopoli.

Si può considerare vero il suo ecumenismo? Ha senso che il papa continui a dialogare con lui? L’ecumenismo si deve basare sull’onestà degli intenti di quanti, al di là dei secolari conflitti teologici, condividono la fede in Cristo. E si può considerare cristiano chi pensa che il matrimonio omosessuale è segno dell’avvicinarsi dell’apocalisse, mentre benedice orribili eccidi di innocenti?