D'Ascanio, il papà della Vespa e l'elicottero di 90 anni fa

L’ingegner italiano non inventò solo lo scooter. L’8 ottobre 1930 battezzò la sua creatura volante: 9 minuti in aria a 18 metri di altezza

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Ha creato la Vespa eppure le moto gli piacevano poco. Non se n’era mai occupato prima del 1945, quando Enrico Piaggio gli chiese di progettare qualcosa che mettesse "l’Italia su due ruote, ma non la solita motocicletta". "Se mi lascia libero lo farò a modo mio", gli rispose Corradino d’Ascanio. Un anno dopo lo scooter che avrebbe conquistato il mondo – "bisogna risalire alla biga romana per trovare un veicolo così orgogliosamente italiano", scrisse il Times – era realtà. Il visionario ingegnere abruzzese aveva fatto centro.

Paradossalmente però lo straripante successo della sua invenzione aveva offuscato l’altra, quella più amata: l’elicottero. Una meravigliosa ossessione che l’ha accompagnato fin da bambino. Osservava gli uccelli, ne annotava peso e apertura alare, studiava i principi del volo. Così nel 1906, a 15 anni, costruì con lenzuola e stecche di legno un rudimentale deltaplano che lanciava dalle colline di Popoli, il paese dov’era nato. Dopo il leggendario Flyer dei fratelli Wright, toccò alla sua creatura meccanica entrare nella Storia.

Costruire un veicolo a decollo verticale in assetto stabile: una passione briciante, il sogno totalizzante. Ci arrivò fra mille ostacoli, sempre ricorrendo a una creatività senza pari. Perché d’Ascanio inventava tutto: il forno elettrico per pasticceri e fornai, l’asciugatrice dei panni, il sollevatore di infermi, lo schedario a ricerca veloce dei documenti, perfino un portasigarette a tempo ideato per arginare il suo unico vizio.

L’elicottero veniva da lontano. Arruolato nel battaglione aviatori durante la Grande Guerra, Corradino rettificò i biplani Caudron bloccati a terra dal congelamento dell’olio lubrificante. Nel 1918, a Indianapolis, con il conterraneo Pomilio e poi con Ugo Veniero d’Annunzio – il figlio del Vate – realizzò un aereo dotato di motore Harley Davidson. Era arrivato il tempo del passo decisivo.

L’anno giusto fu il 1925, quando d’Ascanio fondò una società con il barone abruzzese Pietro Trojani. I due misero in gioco i loro beni: nel cortile delle Officine Camplone a Pescara furono sperimentati i prototipi dell’elicottero D’AT1 e D’AT2. Oggetti volanti a decollo verticale che rimasero in aria pochi secondi, sufficienti tuttavia a convincere il ministero dell’Aeronautica a stanziare 600mila lire: la somma necessaria allo sviluppo del D’AT3 (la sigla sta per D’Ascanio-Trojani).

Pilotato dal collaudatore Marinello Nelli, l’8 ottobre 1930 il velivolo si alzò dalla pista di Ciampino stabilendo tre record: 8 minuti e 45 secondi di volo; 1.078,60 metri coperti in linea retta; altezza raggiunta 18 metri. Era fatta. Una tavola di Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere celebrò l’evento. Sorprendentemente però i finanziamenti non furono rinnovati. D’Ascanio e il suo socio erano pieni di debiti. Lo sviluppo dell’elicottero si fermò.

Corradino, diventato il massimo esperto di eliche a passo variabile, fu assunto dalla Piaggio. Lì lavorò ad altri prototipi: il PD1, il PD2 e il PD3 (dove PD sta ovviamente per Piaggio-D’Ascanio). Ma incombeva la guerra e il nuovo velivolo finì in un hangar: alla macchina bellica serviva altro. Se ne riparlò a fine conflitto, quando l’ingegnere recuperò tra le macerie di Guidonia quel che restava della creatura prediletta.

Fatica inutile, la produzione Piaggio ormai puntava tutto sulla Vespa: il secondo figlio di d’Ascanio aveva ucciso il primogenito. Ma lui non si arrese. Da pensionato, nel garage di casa a Pisa creò la Vespa dell’aria: un mini elicottero per l’irrigazione dei campi. La sintesi perfetta del genio italiano che aveva inventato il futuro.