Pietro Sanua, ucciso nel ’95, col figlio Lorenzo. In alto a destra, Lorenzo oggi

di Francesca Grillo CORSICO (Milano) L’alba di quel 4 febbraio era gelida. Al volante del furgone carico di cassette di frutta e verdura c’era Pietro Sanua, venditore ambulante e sindacalista, referente della Confesercenti. Pierino lo conoscevano tutti. Un venditore onesto, un punto di riferimento in tanti mercati. Ma soprattutto era noto per il suo impegno contro le ingiustizie. Sul sedile accanto a lui, nel furgone, c’era Lorenzo, figlio 20enne che gli dava una mano. Era buio, Lorenzo sonnecchiava appoggiato al finestrino. Lo svegliano i colpi di lupara che uccidono suo padre. Il furgone sbanda in via Di Vittorio a Corsico, stretto hinterland milanese, si schianta su un palo. Lorenzo scende, chiama suo padre. "È morto, è morto", gli ripete chi è corso a vedere. Quel giorno segna la vita di tutta la famiglia Sanua. Del figlio, della moglie di Pietro, Francesca, che ancora, dopo 28 anni, racconta il marito con emozione. Le lacrime di Lorenzo, la rabbia, la frustrazione di un delitto senza colpevoli, si sono trasformate in impegno. Per dare giustizia al padre, per sostenere le vittime come lui di persone uccise dalle mafie. Come sono stati gli anni dopo l’omicidio di suo padre? "Anni di buio e sofferenza. Un dolore grande da gestire. Chi ha ucciso mio padre si è preso anche parte della nostra anima, le nostre vite, le ha cambiate per sempre. All’inizio ho vissuto un blackout, non ricordavo nulla, ero sopraffatto dalla sofferenza. Poi ho capito che avrei potuto e dovuto fare qualcosa".  Ed è diventato referente di Libera del Sud Ovest milanese.  "Ho deciso di far parte di questa grande realtà, di portare avanti l’impegno di mio padre. Lui aveva scoperto il racket dell’assegnazione delle piazzole dei mercati e non aveva paura di denunciarlo. La sua morte non può essere vana. Anche se attendiamo ancora giustizia". A che punto è, dopo 28 anni, l’indagine? "La Dda e la dottoressa Alessandra Dolci, a cui va il mio ringraziamento, hanno riaperto il fascicolo, certificando che è stato un delitto di ‘ndrangheta. C’è un identikit del possibile colpevole, alcune informazioni date dai pentiti potrebbero portare finalmente alla svolta". Quanto è importante la giornata del 21 marzo, con la lettura dei nomi delle vittime di mafia? "Solo nel 2010, a Milano, il nome di mio padre è stato inserito e letto per la prima volta nell’elenco. Da quel giorno non mi sono sentito più solo. Questo giorno deve essere memoria, ma soprattutto impegno. La lotta alle mafie riguarda ognuno di noi. Raccontare le storie delle vittime e di noi familiari, che abbiamo pagato il prezzo più alto, può essere un esempio per i giovani, perché sappiano che parte stare. E poi vogliamo che questa giornata serva anche a noi".  A cosa? "Vogliamo il diritto alla verità. Lo Stato e chi ci governa difendano questo diritto. Come dice Nando Dalla Chiesa, siamo sangue e suolo: non abbiamo paura di morire per la verità, ma vogliamo che lo Stato sia al nostro fianco". Cos’è per lei Libera? "Una famiglia. Se sono qui, se ho deciso di impegnarmi in prima persona, se ho scelto di raccontare il nostro dolore, e non è mai facile, è perché in Libera ho trovato un gruppo unito verso un unico obiettivo. Sensibilizzare le persone, soprattutto i ragazzi, la nostra speranza, ma anche stare vicino a chi ha sofferto. Ognuno ha la propria sofferenza, ma è lo stare insieme che ci dà la forza di andare avanti".  Cosa le ha insegnato suo padre? "Determinazione, impegno, coraggio. Mio padre non era un eroe, era un uomo che sapeva da che parte stare e non aveva paura di farlo. Ha lasciato il segno in tante persone". E lei cosa insegna a sua figlia? "Quello che ho imparato da mio papà. La più importante, il rispetto e l’aiuto per i deboli. Ha 14 anni, ma ha già una forza incredibile. Rivedo in lei molte delle cose belle di mio papà Pietro. E lei si chiama Petra".

Cronaca

di Francesca Grillo
CORSICO (Milano)
L’alba di quel 4 febbraio era gelida. Al volante del furgone carico di cassette di frutta e verdura c’era Pietro Sanua, venditore ambulante e sindacalista, referente della Confesercenti. Pierino lo conoscevano tutti. Un venditore onesto, un punto di riferimento in tanti mercati. Ma soprattutto era noto per il suo impegno contro le ingiustizie. Sul sedile accanto a lui, nel furgone, c’era Lorenzo, figlio 20enne che gli dava una mano. Era buio, Lorenzo sonnecchiava appoggiato al finestrino. Lo svegliano i colpi di lupara che uccidono suo padre. Il furgone sbanda in via Di Vittorio a Corsico, stretto hinterland milanese, si schianta su un palo. Lorenzo scende, chiama suo padre. "È morto, è morto", gli ripete chi è corso a vedere. Quel giorno segna la vita di tutta la famiglia Sanua. Del figlio, della moglie di Pietro, Francesca, che ancora, dopo 28 anni, racconta il marito con emozione. Le lacrime di Lorenzo, la rabbia, la frustrazione di un delitto senza colpevoli, si sono trasformate in impegno. Per dare giustizia al padre, per sostenere le vittime come lui di persone uccise dalle mafie.
Come sono stati gli anni dopo l’omicidio di suo padre?
"Anni di buio e sofferenza. Un dolore grande da gestire. Chi ha ucciso mio padre si è preso anche parte della nostra anima, le nostre vite, le ha cambiate per sempre. All’inizio ho vissuto un blackout, non ricordavo nulla, ero sopraffatto dalla sofferenza. Poi ho capito che avrei potuto e dovuto fare qualcosa". 
Ed è diventato referente di Libera del Sud Ovest milanese. 
"Ho deciso di far parte di questa grande realtà, di portare avanti l’impegno di mio padre. Lui aveva scoperto il racket dell’assegnazione delle piazzole dei mercati e non aveva paura di denunciarlo. La sua morte non può essere vana. Anche se attendiamo ancora giustizia".
A che punto è, dopo 28 anni, l’indagine?
"La Dda e la dottoressa Alessandra Dolci, a cui va il mio ringraziamento, hanno riaperto il fascicolo, certificando che è stato un delitto di ‘ndrangheta. C’è un identikit del possibile colpevole, alcune informazioni date dai pentiti potrebbero portare finalmente alla svolta".
Quanto è importante la giornata del 21 marzo, con la lettura dei nomi delle vittime di mafia?
"Solo nel 2010, a Milano, il nome di mio padre è stato inserito e letto per la prima volta nell’elenco. Da quel giorno non mi sono sentito più solo. Questo giorno deve essere memoria, ma soprattutto impegno. La lotta alle mafie riguarda ognuno di noi. Raccontare le storie delle vittime e di noi familiari, che abbiamo pagato il prezzo più alto, può essere un esempio per i giovani, perché sappiano che parte stare. E poi vogliamo che questa giornata serva anche a noi". 
A cosa?
"Vogliamo il diritto alla verità. Lo Stato e chi ci governa difendano questo diritto. Come dice Nando Dalla Chiesa, siamo sangue e suolo: non abbiamo paura di morire per la verità, ma vogliamo che lo Stato sia al nostro fianco".
Cos’è per lei Libera?
"Una famiglia. Se sono qui, se ho deciso di impegnarmi in prima persona, se ho scelto di raccontare il nostro dolore, e non è mai facile, è perché in Libera ho trovato un gruppo unito verso un unico obiettivo. Sensibilizzare le persone, soprattutto i ragazzi, la nostra speranza, ma anche stare vicino a chi ha sofferto. Ognuno ha la propria sofferenza, ma è lo stare insieme che ci dà la forza di andare avanti". 
Cosa le ha insegnato suo padre?
"Determinazione, impegno, coraggio. Mio padre non era un eroe, era un uomo che sapeva da che parte stare e non aveva paura di farlo. Ha lasciato il segno in tante persone".
E lei cosa insegna a sua figlia?
"Quello che ho imparato da mio papà. La più importante, il rispetto e l’aiuto per i deboli. Ha 14 anni, ma ha già una forza incredibile. Rivedo in lei molte delle cose belle di mio papà Pietro. E lei si chiama Petra".

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