Mercoledì 24 Aprile 2024

Il Papa mette a dieta i cardinali "I regali? Al massimo 40 euro"

Giro di vite sui dipendenti della Santa Sede. Dovranno anche dichiarare di non avere beni nei paradisi fiscali

di Giovanni Panettiere

Ben vengano i regali ai cardinali, a patto che non valgano troppo. Quaranta euro al massimo, non un centesimo di più. Altrimenti vacillano i discorsi sulla povertà nella Chiesa e ci si espone a spiacevoli insinuazioni sulla possibilità di corrompere perfino i porporati. Deve essere stata questa la riflessione che ha spinto il Papa, in attesa della pagella di Moneyval sull’antiriciclaggio entro le mura leonine, ad attivare la leva moralizzatrice nei confronti di una Curia romana ancora scossa dal caso Becciu e dalla intricata vicenda della compravendita del palazzo di Sloane Avenue, a Londra.

Non solo tetti agli omaggi per i dipendenti della Santa Sede e della Città del Vaticano (cardinali in primis, evidentemente), ma un vero e proprio giro di vite contro la corruzione pensato per tutti i dirigenti di Curia. Si presenta così il nuovo motu proprio di Bergoglio che, da un lato, proibisce ai vertici ecclesiali di detenere beni nei paradisi fiscali o d’investire in aziende che operano in spregio alla dottrina sociale della Chiesa, e, dall’altro, obbliga gli stessi a rendere noto di non avere condanne o indagini per terrorismo, riciclaggio ed evasione fiscale.

Nel dettaglio la legge pontificia, che fa seguito al Codice sugli appalti dello scorso anno e si muove nel solco della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, a cui ha aderito anche la Santa Sede, prescrive ai dirigenti della Curia di compilare al momento dell’assunzione e poi con cadenza biennale una particolare dichiarazione. I soggetti inquadrati nei livelli funzionali C, C1, C2 e C3 (dai cardinali capi dicastero ai vicedirettori con contratto dirigenziale quinquennale), così come tutti coloro che hanno funzioni di amministrazione attiva giurisdizionali o di controllo e vigilanza, dovranno attestare di non avere riportato condanne definitive, in Vaticano o in altri Stati, né di aver beneficiato di indulti, amnistie o grazie. Sarà necessario anche dichiarare di non avere procedimenti penali pendenti per partecipazione ad organizzazioni criminali, corruzione, frode, terrorismo, riciclaggio di proventi derivanti da attività criminose, evasione, elusione fiscale, tratta di esseri umani o sfuttamento di minori.

Sempre nella dichiarazione i dirigenti dovranno specificare di non detenere, anche per interposta persona, beni in paradisi fiscali o partecipazioni azionarie in capitali di aziende operanti fuori dalla dottrina sociale della Chiesa. A vigilare sulla veridicità delle dichiarazioni effettuate sarà la Segreteria per l’Economia, l’organismo istituito da Bergoglio per controllare la gestione economica della Santa Sede e del Vaticano.Tale struttura, in caso di accertate difformità, potrà licenziare il dipendente e agire per chiedere i danni eventualmente subiti.

La stretta del Papa incontra inevitabilmente il favore di chi spinge per un repulisti nella Chiesa, soprattutto all’interno di una Curia romana che Bergoglio, in sede di conclave, nel 2013 è stato chiamato a riformare (manca ancora l’attesa costituzione sull’organizzazione dei dicasteri) proprio da quei porporati ai quali, al fine di rimettere in sesto le finanze vaticane provate dal Covid, ha tagliato lo stipendio. E sui quali ora pende un ulteriore giro di vite che, borbottano i detrattori, rischia di far apparire la Santa Sede come la capitale della corruzione. O, più in generale, del malcostume, il luogo dove, come si è visto, si tirano le orecchie persino agli inquilini di Santa Marta – la residenza del Papa –, perché la notte la smettano di fare le ore piccole.