Il papà del rock Un genio ‘Killer’ Troppo spericolato per i miti di oggi

È morto a 87 anni uno degli eroi della Sun Records assieme a Presley e Cash: la sua vita era davvero maledetta

Migration

di Matteo

Massi

Quindici anni fa, per la precisione il 24 agosto 2007: quel signore lì che barcolla solo un pochino (ma non molla) sul palco del festival Summer Jamboree di Senigallia (Ancona), si chiama Jerry Lee Lewis. Ha 72 anni e non rinuncia alle scarpe bicolore (black and white) a punta. Si avvicina al pianoforte. E comincia lo show. Anche con i piedi sì, perché non era una leggenda che Jerry Lee Lewis, solo fisicamente, lo suonasse con i piedi. Ieri se ne è andato.

Dopo il falso annuncio dell’altra notte, dato da Tmz, e subito smentito, questa volta è vero: Jerry Lee Lewis è morto a 87 anni. A dimostrazione che gli eroi del rock’n’roll non sono immortali, ma spesso sono maledetti e proprio per questo con un potere di fascinazione che supera intere generazioni, se non ere. Lewis che, guarda caso, chiamavano The Killer non si sottraeva affatto allo stereotipo. Maudit, davvero. Soprattutto per la sua vita privata, in cui non si era risparmiato nulla. Uno così avrebbe fatto davvero fatica a farsi largo in questi tempi, così politicamente corretti. Ma il suo mito lui l’aveva costruito prima. Come i suoi compagni di scorribande. Non gente qualunque: Elvis Presley, Johnny Cash, Carl Perkins. In un nome: la Sun Records. In anticipo sui tempi, così in anticipo sui tempi che nasce nel 1952, prima ancora che si parlasse (nel mondo) di rock’n’roll. E infatti la casa discografica, da sempre, si lascia accompagnare da un eloquente “where rock’n’roll was born”. Dove il rock’n’roll è nato.

Siamo a Memphis e Sam Phillips che è il papà della Sun Records mette assieme un gruppo di assi e spesso riesce anche a farli dialogare in musica. Come nel caso del “Million Dollar quartet”: quel giorno, 4 dicembre 1956, c’è Carl Perkins che sta registrando il suo nuovo disco e in studio, per puro caso (così si racconta), passano anche Jerry Lee Lewis, Johnny Cash e ovviamente lì c’è anche Elvis Presley. Sam Phillips, furbescamente, chiama anche un fotografo a immortalare l’evento che diventa una jam session che entra, per forza, nel mito. La chiamano la musica del diavolo il rock’n’roll e nessuna delle esistenze del quartetto è esente dal peccato, ovviamente.

Jerry Lee Lewis, nell’ultima intervista rilasciata un paio di anni fa, con una mano (la destra) che praticamente non può più utilizzare (la condanna peggiore per un pianista, anche per chi sa suonare anche con i piedi) racconta come i suoi giorni ormai li trascorra "guardando la tv, prendendo medicine, facendo gli esercizi che devo fare e stando accanto a Judith". Judith è la sua settima moglie, sposata nel 2012. Ma di questa lunga lista di matrimoni, quello che fece più scalpore è datato 1958. The Killer sposò (di nascosto a Las Vegas) sua cugina di secondo grado Myra, allora minorenne (aveva 13 anni) e se la portò con sé nel tour in Gran Bretagna. Appena i tabloid inglesi seppero dell’età della ragazzina fecero una campagna contro di lui. Tour cancellato e si ritrovò a suonare il pianoforte nei locali americani: 100 dollari a notte, rispetto ai mille dell’età dell’oro dei suoi concerti.

The Killer, il suo soprannome, non nasce dal modo irruente di suonare il piano ma gliel’affibbiò il preside dopo una rissa a scuola, riuscì a rialzarsi. E ricominciò a girare il mondo fino a due anni fa. C’è un titolo di un disco che più degli altri sintetizza la carriera (musicale) di Jerry Lee Lewis: “Last man standing”, duetti con Bruce Springsteen e Mick Jagger, a dimostrazione di quanto fosse non solo incendiaria la sua musica, ma anche decisamente derivativa per le generazioni successive. L’ultimo uomo rimasto in piedi, di quella scena mitica della Sun Records. Da ieri non è più così. Ma la sua “Great balls of fire” riuscirà a far muovere sempre anche il divanista più convinto.