Martedì 23 Aprile 2024

Il Paese vittima dalla burocrazia che ha creato

Gabriele

Canè

Come vogliamo chiamarlo? Un paradosso, uno scioglilingua? Di sicuro rendere il Paese più efficiente con gli strumenti di un Paese inefficiente, è un problema. Anzi, un problemone se si deve stare al passo con il Pnrr, il piano a cui la Ue ci ha vincolato per darci il (tanto) danaro necessario per migliorare l’Italia nelle sue infrastrutture e nelle sue strutture istituzionali: che sono appunto quelle attraverso le quali i miliardi europei vanno spesi per migliorare le istituzioni, quelle giudiziarie, ad esempio. Con tanti vincoli, ovviamente. Di tempi innanzitutto. Proprio il bersaglio che rischiamo di fallire, anzi, stiamo già fallendo rispetto agli obiettivi del 2022 perché a spendere dei soldi proprio non ce la facciamo. Colpa della burocrazia, si dice. Verissimo. Con un dettaglio che non va trascurato: che questa macchina elefantiaca non nasce da un errore di laboratorio come (forse) il Covid, ma è il frutto perverso della politica degli ultimi decenni, che ha moltiplicato uffici, passaggi; che ha prodotto leggi fatte di migliaia di pagine, commi che rimandano ad altre leggi, decreti e articoli. L’Italia di carta che adesso si ritrova a dover riformare se stessa, non secondo i tempi che fanno comodo a un Tar, ma in base alla scaletta dettata da Bruxelles. Sta di fatto che per un pugno di alberi l’Alta Velocità della Napoli Bari è ferma. Che contro il dissesto idrogeologico si stanziano miliardi che non si spendono mentre Ischia scivola in mare, e in Toscana crolla un ponte. Che stiamo bussando alle porte di Bruxelles per avere comprensione anche per la revisione dei costi delle opere, lievitati per il boom delle materie prime. Risultato: Draghi è stato bravissimo e Meloni si muove in quel binario, ma se non cambiamo passo non ce la faremo. L’ottimismo è d’obbligo, e il realismo è di rigore. Alla fine tra un comma e l’altro forse il Pnrr si farà. Nel 2026? Piu o meno.