Mercoledì 24 Aprile 2024

Il Nobel dell’acqua "La siccità e le piene sono colpa nostra Stupidi i no agli invasi"

Il professor Rinaldo è uno dei massimi esperti di idraulica al mondo "Osservando le mappe, il rischio dell’Emilia Romagna era noto. Si ripeteranno eventi estremi. Parlare del taglio degli alberi è surreale".

di Marcella

Cocchi

Andrea Rinaldo è stato ribattezzato “il Nobel dell’acqua“ perché riceverà in agosto a Stoccolma il più prestigioso premio legato agli studi sulle reti fluviali, sul binomio del secolo piene-siccità, sul rapporto tra le comunità e i corsi d’acqua. Ma poiché lo scienziato è stato anche un azzurro del rugby, proprio dal mondo della palla ovale attinge ora per trasmetterci una lezione comprensibile a tutti.

Scienza e rugby, professore?

"Quello che insegna lo sport di contatto è che il risultato è la logica conseguenza del lavoro impiegato per ottenerlo. Le cose non accadono per caso. L’emergenza climatica ci sovrasta, dobbiamo adattarci. Non facciamo i mercanti di dubbi, definiamo oggi gli interventi caso per caso, laicamente. Io sono nato e cresciuto a Venezia. Nel giro di 100 anni, la mia città sparirà se non cominciamo adesso a risolvere i problemi. Mai sentito parlare della Commissione De Marchi?"

Era il 1966, vero?

"Quella Commissione sulla fragilità idraulica e geologica concluse che era necessario costruire alcuni grandi invasi. Ma non sono mai stati fatti. Attenzione, perché spesso sulle materie idrauliche colpa e castigo non coincidono".

Prima che le due alluvioni devastassero l’Emilia-Romagna, l’allarme era la carenza di acqua. Poi altro che “nera che non si vedeva da una vita intera“, come cantava De Andrè... Si piangono morti, si contano danni miliardari. Una tragedia peggiore del terremoto...

"In America chiamano gli eventi estremi “i tre pugni“: la siccità, i fuochi e le piene. A noi sono mancati gli incendi, per fortuna, ma la realtà è che piene e siccità sono legati dal clima che cambia. E la causa del disastro in Emilia-Romagna è perfino banale: è caduta un’ira di dio di pioggia".

Accadrà ancora?

"Quello che viene chiamato, banalizzandolo, il cambio climatico prevede la legge fisica che un grado in più di temperatura dell’aria significa dal 6 al 7% di vapore acqueo che l’atmosfera può trattenere. C’è più acqua: dove volete che vada? Cadrà più intensamente, in modo più concentrato. E si creeranno “meteore“ che hanno una dimensione in genere coincidente con quella critica per i bacini né troppo grandi né troppo piccoli, proprio come in Emilia-Romagna".

Il rischio è stato sottovalutato?

"Osservando le mappe del rischio di piena, l’Emilia-Romagna era grande come una casa in quelle dell’Ispra, per esempio. Era arcinoto che sarebbe successo. Gente che sa leggere e scrivere in Italia, sia negli apparati tecnici dello Stato e delle Regioni sia nelle università, ce n’è molta. Non è stato un evento sottovalutato per incompetenza, ma un problema tanto impattante per gli impatti sociali ed economici va discusso e pianificato per tempo. Grandi siccità e piene sono effetto di quello che abbiamo fatto al clima. È colpa nostra".

Cosa possiamo agire ora?

"Mitigazione o adattamento. Il primo aspetto significa ridurre la temperatura media dell’atmosfera e questo non lo può fare una regione, non lo può fare la sola Italia, è un tema mondiale. L’adattamento invece spetta a noi. Occorre trovare sistemi che riducano l’impatto delle piene".

Quali sono?

"L’unica soluzione può essere costruire invasi grandi e piccoli, le famose soluzioni che nessuno vuole nel proprio giardino, ma i no preconcetti sono da stupidi".

Che dire della pulizia dei fiumi o della salvaguardia di alberi e “letti“ dei corsi d’acqua?

"Se cadono 500 millimetri di pioggia in 36 ore, c’è bisogno di bacini giganteschi e con una eterogeneità spaziale variegata ed estremamente complessa. È surreale che si parli del taglio degli alberi quando si verifica un evento estremo come questo. A Venezia è quello che si chiama un brusco (brufolo, ndr) sulla gobba. Tagliare gli alberi è sbagliato, per carità, stanno bene dove sono i fiumi, ma l’ostruzione provocata da vegetazione esiste solo se la corrente scorre con grande forza. L’eccesso di acqua in Emilia-Romagna non si gestisce “grattando“ i fiumi. Ho visto la portata dell’Idice, mi ha sconvolto: il fiume, nel tempo, si è trovato un’altra strada".

Arrivano dal governo i primi fondi, ristori e moratorie. Perché si interviene al massimo per riparare un’emergenza?

"Abbiamo sfregiato il territorio... Sì, ma “sfregiare“ ha un significato complesso, la cementificazione è in parte corollario di una sistema di vita in cui gli uomini vivono meglio, anche nelle campagne. Quello che non può aspettare invece è una nuova coscienza collettiva sul clima".

Dal Polesine al Vajont a Sarno, l’Italia non ha imparato nulla?

"Dal 1951 a oggi la situazione è completamente diversa. Prendiamo l’esempio del Po: la capacità di evitare disastri in prossimità del grande fiume è migliorata, ma quel che sta cambiando è la macchina sotto i piedi, non si può mettere un tappo alla pioggia. Questo è un tema serissimo. Negli ultimi 8 anni i termometri che registrano la temperatura nel mondo ci dicono che non è mai stato così caldo. Verrà il dubbio che Greta abbia ragione oppure no? Non possiamo liquidarla".

I corsi d’acqua, alla base storicamente delle grandi civiltà, dalla Mesopotamia in poi, saranno una delle piaghe del futuro?

"Non bisogna tornare all’Arcadia. Ho un approccio popperiano rispetto alla società: non siamo mai stati così bene. Ma dobbiamo cambiare mentalità, in Italia abbiamo una delle comunità idrologiche migliori al mondo. Sfruttiamola".