Giovedì 18 Aprile 2024

Il mito Marilyn: amori, vizi e virtù. La Monroe rivoluzionò l’America perbenista

I riccioli biondi, la bocca rossa fuoco: così diventò l’icona sexy. Alla prossima Mostra di Venezia arriva il film “Blonde“. ispirato al libro che racconta il suo lato più privato e familiare

Il vero nome di Marilyn Monroe, nata nel 1926, era Norma Jean Mortenson (Afp)

Il vero nome di Marilyn Monroe, nata nel 1926, era Norma Jean Mortenson (Afp)

Sessant’anni e sembra ieri. I suoi riccioli platino, la bocca rosso fuoco, lo sguardo apparentemente innocente, le curve mozzafiato. Marilyn Monroe fu trovata cadavere nel letto della sua casa al 12305 di Fifth Helena Drive a Los Angeles. Era il 4 agosto 1962. Aveva solo 36 anni e una tragica fame di vita e d’amore. La sua chioma, la sua fragile bionditudine, avevano incantato il mondo, occultando però le sue vere aspirazioni: essere presa sul serio come attrice e trovare il vero amore.

Non si contano i libri e i film dedicati al sex symbol più amato del mondo. “Blonde” di Joyce Carol Oates è l’ultimo in ordine di tempo. Il premio Pulitzer narra non solo un sex symbol, ma una donna complicata e insicura che è entrata nel mito. Da adolescente solitaria a bellezza planetaria, ma anche donna fragile, giovane determinata, amante incostante, playmate, paziente in analisi, con molti amanti e poco amore.

Joyce Carol Oates mescola storia e finzione in un romanzo in cui la vita si intreccia con la fantasia. Ma non è finita qui. Dal libro della Oates è stato tratto un film targato Netflix diretto da Andrew Dominik e interpretato da Ana de Armas che sarà in concorso al 79mo Festival del Cinema di Venezia e visibile da tutti dal prossimo 28 settembre.

Mito mai sopito, anzi rinforzato da plurime imitazioni, cinematografiche e non, Norma Jean è la metafora perfetta della bionditudine come categoria sociale. Pensiamo a film come “La rivincita delle bionde” con Reese Witherspoon o alla quantità di attrici, da Jennifer Aniston a Cameron Diaz, che hanno sposato il biondo come stile di vita.

Perché? Banalmente perché il biondo illumina, rende radiose, spensierate, apparentemente semplici e forse anche poco intelligenti. Un luogo comune che, fortunatamente, è stato sfatato ma che talvolta si annida nel cervelletto di molti uomini. Essere bionda rende la vita, apparentemente, più facile. Non solo dal punto di vista estetico. Regala quella leggerezza che spesso non si possiede.

Quando fu scoperta mentre avvitava eliche per l’esercito, il fotografo che la immortalò rimase fulminato da quella rossa sorridente e ingenua. Furono gli Studios a trasformarla nell’icona che le è sopravvissuta. Via i capelli rossi, sì al biondo platino, cancellate le lentiggini, sorridere sì ma in modo ammiccante e spensierato come se non si avesse un problema al mondo. Abiti attillati, atteggiamento da svampita, gioielli e pellicce: ecco la nuova diva da divorare con gli occhi.

Evocata da Kim Kardashian, la Monroe è tornata a vivere in maggio al Gala del Met, mentre un ritratto firmato Andy Warhol veniva battuto all’asta per 195 milioni di dollari: un record. Fanno furore i cimeli: "A 60 anni dalla morte e lei continua ad essere una celebrità di serie A per collezionisti, fan e musei di tutto il mondo", ha detto Martin Nolan, il direttore della casa d’asta Julien’s di Los Angeles che ha venduto un abito di William Travilla, che aveva disegnato i costumi di scena per sei film della Monroe, per 218,750 oltre il doppio della stima di partenza: era stato indossato nel classico del 1954 "Follie dell’Anno".

E dire che Norma Jean aveva avuto una vita difficilissima. Nata il 1 giugno 1926, conobbe da subito l’abbandono perché la madre soffriva di problemi mentali, veniva spesso ricoverata, la piccola affidata a famiglie diverse e il padre si era dato alla macchia (Mortenson era un nome finto). Alla ricerca di stabilità, a sedici anni si sposò con il ventunenne James Dougherty. Ma il matrimonio fallì. È evidente che fosse alla ricerca di quel padre mai conosciuto di cui la madre si ostinava a tacere. Solo molti anni dopo la morte della diva, si è scoperto, comparando il dna di Marilyn con quello dei nipoti di Gifford, che il vero padre era Charles Stanley Gifford. Aveva sposato la mamma di Marilyn ma non aveva mai voluto occuparsi della bambina.

Il mistero, risolto dal regista e produttore francese François Pomès, autore del documentario “Marilyn, Her Final Secret”, getta nuova luce sulle ‘fortune’ della bionda per eccellenza. Il platino seducente dei suoi capelli è adesso meno luminoso di quanto sembri. Ma il mito della luce che emana una chioma dorata è destinato a non spegnersi mai.