Martedì 23 Aprile 2024

Il mito all’asta: la parabola del Mulino Bianco

Simbolo dell’ideale di famiglia grazie allo spot firmato Testa-Tornatore-Morricone. Così un ’non luogo’ celebre è finito nel dimenticatoio

Il “Mulino Bianco“ del celebre spot è oggi un agriturismo a Chiusdino (Siena)

Il “Mulino Bianco“ del celebre spot è oggi un agriturismo a Chiusdino (Siena)

Il Mulino Bianco finisce all’asta. Basta questa frase per dare il via a una corrente di ricordi, suggestioni, percezioni, immagini di un’Italia particolare, quella degli anni Novanta. Quel Mulino è una ’madeleine proustiana’ sotto molti aspetti, anche per l’accostamento ai dolcetti. Fu capace di contrapporre al mito americano della finanza avida e senza scrupoli, stile Gordon Gekko, la forza tranquilla di una famiglia felice nella campagna dell’Italia di mezzo.

È stato uno dei più celebri ’non luoghi’, sublimato in una piccola Camelot grazie allo spot di successo della Barilla, parto di un trio di geni quali il creativo Armando Testa, il regista Giuseppe Tornatore e il maestro Ennio Morricone.

Sarà venduto dall’Istituto Vendite Giudiziarie di Siena a ottobre. Il prezzo base è fissato in poco più di un milione di euro, l’offerta minima è 831.204 euro e 89 centesimi. Davvero poco per un posto sognato da milioni di italiani. Diventato un agriturismo con ristorante, piscina con solarium e spogliatoio, una decina di stanze e diversi bagni, perfino una torre e una parte museale dove sono conservati gli strumenti per produrre l’energia elettrica grazie alla ruota del mulino e le macine per lavorare i cereali.

Bisogna saccheggiare la letteratura, improvvisarsi antropologi o semiologi, scimmiottare i compianti Umberto Eco e Omar Calabrese per provare a raccontare a chi ha venti anni oggi cosa significò quello spot e quel luogo scoperto in mezzo al nulla da Armando Testa, pubblicitario per la Barilla. Era un mulino in rovina, a poca distanza dalla sublime Abbazia di San Galgano, quella che ha per tetto il cielo, e accanto la roccia in cui Galgano incastonò la spada. Forse sarà stato merito di questi ’vicini magici’, più probabilmente sarà stato il frutto della genialità di Tornatore e Morricone, ma quel luogo divenne una meta di culto, come Neverland per i fan di Michael Jackson, o più semplicemente la villa del commissario Montalbano a Marinella.

Lo spot era talmente efficace che divenne un ’topos’: c’era il padre, giornalista, che tornava in quella casa di campagna dopo una giornata in redazione; la madre, di una bellezza semplice, con un filo di perle al collo, un ragazzino e una bambina con facce da pubblicità e anche un nonno saggio e rassicurante. Microstorie di gattini adottati e piccoli drammi tutti risolti con le merendine, mentre la ruota di quel mulino, dipinto di bianco per rispettare il logo, girava tranquilla come la ruota del mondo.

Tutte le famiglie italiane aspirarono ad assomigliare a quella del Mulino Bianco, partì una caccia grossa al casolare in campagna, in Toscana o in Umbria, dove le colline somigliavano a quel set. E lì, nel ’non luogo’ creato dai tre geni di cui sopra, andò in scena un pellegrinaggio che fece epoca. Nei week end la strada tutta curve nella Val di Merse, in provincia di Siena, che collega Chiusdino alla Maremma, diventata un serpentone di auto. Centinaia di persone che si sobbarcavano chilometri per portare i bimbi a vedere il Mulino Bianco. Nessuno andava più a San Galgano o a vedere la Spada nella roccia, tutti si fermavano in località Molino delle Pile e si aspettavano che la Barilla aprisse uno spaccio delle merendine. Il Comune di Chiusdino dovette prevedere segnaletiche speciali, aggiustare le strade, in cambio la Barilla sponsorizzò la locale squadra di calcio in Seconda e Terza Categoria, la ’Cinghiala’.

Dopo qualche anno tutto finì: la Barilla cambiò spot, non volle mai comprare quel mulino nella Val di Merse, forse spaventata dal successo, forse perché non sapeva che farsene. I pellegrinaggi si interruppero, l’agriturismo funzionò per qualche tempo. Ma se oggi viene venduto all’asta giudiziaria, vuol dire che le cose non andarono troppo bene. E allora bisogna ricorrere a Don De Lillo, citato da David Foster Wallace che racconta la storia del "fienile più fotografato d’America". Decine di persone che si danno il cambio su una collinetta per fotografare un fienile come tanti altri. E Don De Lillo-Foster Wallace che scrivono: "Non siamo qui per catturare un’immagine, siamo qui per mantenerne una. È un’accumulazione di energie senza nome, essere qui è una resa spirituale. Vediamo solo ciò che vedono gli altri. In un certo senso è un’esperienza religiosa, come ogni turismo".