Martedì 16 Aprile 2024

Enrica Bonaccorti: "Il mio '68. Quella volta che Ungaretti ci provò..."

"Ero a Valle Giulia con Giuliano Ferarra, frequentavo il gruppo di Paolo Liguori. Scrittori e poeti ci invitavano a casa. Nuda su Playboy? Mi servivano i soldi. Non ho mai sgomitato per il successo in tv. Raccogliere l’eredità della Carrà mi terrorizzò"

Enrica Bonaccorti

Enrica Bonaccorti

E dopo? "Chi lo sa. Navigo a vista: è inutile immaginare il futuro. Guardo molto al passato, forse troppo. Ma vivo il presente intensamente". Cento ne ha pensate, altrettante ne ha fatte. E continua a farne. La biografia di Enrica Maria Silvia Adele Bonaccorti, nata nel ’49 sotto il segno dello Scorpione, non finisce mai. Scrittura, radio, tv, teatro, cinema, musica. Quante storie (e quanti nomi) per una sola persona. Secondo il Catalogo dei viventi, "attrice e conduttrice, bellissima ragazza diventata adulta ma rimasta entusiasta come una bambina". Assurta alla gloria nazional-popolare nell’85, quando ha preso in mano Pronto, chi gioca?: una regina nel salotto del mezzogiorno Rai.

Fu la svolta?

"L’eredità della Carrà era pesante, molti grossi nomi l’avevano rifiutata: c’è voluta la mia incoscienza. Io terrorizzata e Boncompagni certo del flop, invece abbiamo avuto gli ascolti migliori di sempre. Era un talk show con giochi per famiglie all’ora di pranzo. Fatto con un garbo e interviste di sostanza".

Elegante, diretta, sensibile: la cifra giusta per entrare in sintonia con la gente a casa?

"Responsabilità e rispetto sono la base. Non mi piace la televisione urlata delle risse e dei colpi bassi".

Zavoli disse di lei: ’È una giornalista prestata allo spettacolo’. È vero?

"Mai ricevuto un complimento più bello. Sono sempre stata curiosa. Da ragazzina volevo sapere tutto, il resto è venuto da sé".

Anche condurre Italia sera?

"Il mio fiore all’occhiello. Serviva una presenza femminile accanto a Mino Damato e Piero Badaloni, che si ritirò quasi subito. Da attrice di prosa sono stata promossa conduttrice e quasi giornalista. Salutavo il pubblico dicendo: buonasera Italia. Ci ho messo l’anima".

Una vittoria per le donne?

"Fuori dall’intrattenimento non era facile farsi strada, in una struttura tutta al maschile".

Oggi è più facile?

"Vedo in tivù molte ragazze di valore. Però non pensino che sia tutto scontato: senza le nostre battaglie, senza le batoste prese da quelle della mia generazione non sarebbero lì. Io sono cresciuta sognando di diventare Enza Sampò, la maestra".

E il movimento #Metoo?

"Molestie e proposte indecenti sono sempre esistite. Ho scansato situazioni avvilenti: potrei raccontarne per ore. Sono sfuggita all’assedio di uomini ricchi e potenti. C’è stato un periodo in cui due mi aspettavano sotto casa con le loro Rolls Royce".

È stata molto corteggiata?

"Non ho sfruttato la bellezza, vedevo le altre tutte più belle di me. Volevo essere piatta come la Spaak e avevo un seno alla Loren. Mi imbarazzava. Presi al volo un’esigenza di scena per fare l’intervento di riduzione. Quando guardo le vecchie foto, dico: che cretina a non accorgermi com’ero".

Perché ha posato per Playboy?

"Avevo 26 anni e una figlia di due. Verdiana è nata da un matrimonio svanito subito, sentivo la responsabilità di crescerla. Playboy pagava bene e i soldi servivano. Ma dalla Vanoni alle Kessler, ogni donna di spettacolo famosa era sulla rivista accanto a firme prestigiose: trovavi i servizi fotografici e l’articolo di Arbasino".

In famiglia hanno sostenuto le sue scelte?

"Ho avuto un’educazione rigida. Mio padre era colonnello della polizia ferroviaria: ho passato l’infanzia in caserma a Genova, poi Sassari, infine Roma. È morto a 49 anni, io ancora minorenne. Non è stato facile. Mia madre aveva tutto, persino troppo: laureata a vent’anni, una donna forte che somigliava a Ingrid Bergman. È sempre nei miei pensieri".

Lei che ragazza era?

"Liceale barricadera. Il ‘68, le canne, la protesta in piazza, le cariche dei celerini, Valle Giulia con Giuliano Ferrara. Ero l’unica donna nel Gruppo degli Uccelli di Paolo Liguori che chiamavamo Straccio. Si partiva in autostop e via. Entravamo in casa di intellettuali come Carlo Levi, ho conosciuto perfino Ungaretti".

Com’era?

"Un mito. Gli uomini mi invitavano a cena, io citavo i suoi versi: la pietra scabra del Carso e quelli scappavano. Una volta lo accompagnai con la 500 di mamma: io al volante, lui nel sedile accanto. Sentii una mano accarezzarmi la gamba, aveva 81 anni e il sorriso di un bambino che fa la marachella. Era come se mi avesse dato un pizzicotto Platone".

È attratta dalla poesia?

"Da bambina scrivevo versi, pensieri, racconti, sceneggiature. Poi vinsi due concorsi letterari scolastici. Con le borse di studio mi sono comprata il giradischi e la Vespa. Ero già indipendente. Ho sempre fatto da me, senza padrini politici o di letto".

In radio iniziò con Alfonso Gatto.

"Gli feci leggere le mie cose. Mi disse: lei è sicuramente un poeta. Disse proprio così, poeta al maschile. E poi: deve oggettivare la sua vena, altrimenti fa passare attraverso di lei anche un terremoto in India".

Ha scritto La lontananza e Amara terra mia per Modugno. Che effetto fa?

"Due canzoni eterne. Mimmo mi elesse sua paroliera ufficiale. Esagerava ma ne vado orgogliosa".

Ora scrive romanzi?

"Ne ho pubblicati tre, lavoro al quarto per Baldini+Castoldi: scrivere è un’esigenza e un godimento".

Quali sono gli altri?

"La radio ti tocca l’anima. Il teatro è la panacea di tutti i mali".

Ha dimenticato la televisione?

"Continuo a farla da opinionista. Non è male. Anche se mi piaceva molto di più costruire un programma".

È accaduto nel 1991 con Non è la Rai?

"Il contratto in Fininvest scadeva e volevo mollare. Poi ho ricevuto una telefonata. La voce suadente di Berlusconi: resti, finalmente avremo la diretta, l’ho presa per questo. Mise sul piatto una cifra irrinunciabile".

È stato un programma spartiacque?

"Un delirio collettivo e un fenomeno di costume inventato da Boncompagni. Quelle ragazzine idolatrate, il traffico in tilt davanti agli studi, le scritte sui muri: temevo che il successo le bruciasse. Sono state brave".

Lo è stata anche lei?

"Ho avuto fortuna e non l’ho sfruttata appieno. Posso dire che mi è successo il successo. Carina, brava e costa poco: la mia carriera è passata per sostituzioni casuali diventate successi. Ma saper fare un po’ di tutto è penalizzante nell’Italia delle etichette. In più sconto un peccato capitale: l’accidia. Non ho mai sgomitato".

Si piace?

"Molto più oggi. Ho fatto pace con il mio corpo. E come testa mi sento consapevole di quel che sono. Felicità è una parola grossa, di sicuro ho trovato la serenità".

Torniamo all’inizio: e dopo?

"Non ho stampelle a cui appoggiarmi, sono un’atea invidiosa della fede altrui. Però non ho paura della morte. Mi fa solo rabbia non vedere il mondo fra cent’anni".

 

 

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