Il ministro che vuole ricostruire la scuola. "Riporto tutti in classe, come dopo il sisma"

"Quando ero assessore in Emilia le scosse fecero a pezzi centinaia di edifici scolastici. Il Covid è stato come un terremoto". L’obiettivo: riaprire tutto al più presto. "L’istruzione non può interessare solo agli addetti ai lavori, è il cardine dello sviluppo del Paese"

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"Sembra banale che un ministro dell’Istruzione dica che le scuole devono essere aperte tutte e al meglio. Si parte di qui. Ma la vera sfida è che sulla scuola si apra una grande sfida di crescita per il Paese". Patrizio Bianchi esce da Palazzo Chigi ancora visibilmente emozionato per la nomina.

La sua designazione era nell’aria da una decina di giorni, non appena si è intuito che Draghi cercava alcuni super tecnici.

"Non lo nego, anche se l’ufficialità è arrivata solo venerdì pomeriggio, ero ancora a Ferrara, stavo lavorando con alcuni amici. E ieri mattina, con il primo treno, mi sono precipitato a Roma".

Tenendo in borsa il suo nuovo libro, ’Nello specchio della scuola’, come come un manifesto programmatico.

"Lei scherza, ma in qualche modo ha ragione: in quelle pagine c’è tutto quello che penso e che vorrei poter applicare. La scuola, da sempre, è considerata una questione che interessa soprattutto gli addetti ai lavori: gli insegnanti, gli studenti, magari anche le famiglie. In realtà la scuola è di tutti, rappresenta un cardine dello sviluppo del Paese, bisogna tornare a pensare che è un ’bene comune’, imprescindibile".

E come tale, scrive, ha bisogno di investimenti. Quanto conta il fatto che lei sia non solo un ex rettore, e titolare di cattedra universitaria, ma innanzitutto un economista, esperto di sviluppo industriale?

"Gli investimenti saranno fondamentali. Ma c’è un elemento fondamentale, anche questo banale da dire ma decisivo: l’ascolto. L’anno scorso, come presidente della commissione di esperti chiamata dal ministro Azzolina a studiare la ripartenza della scuola dopo il lockdown, ho ascoltato davvero tutti, dai docenti di ruolo ai precari, sino ai comitati delle mamme. E nella relazione che avevamo consegnato, diventata poi anche il mio libro, ci sono tutti questi elementi".

La scuola, dunque, come essenza dello sviluppo.

"Diciamo che questo è il fulcro, poi ovviamente occorrerà declinare nella pratica tutti gli aspetti perché ciò avvenga".

Lei è stato per dieci anni assessore regionale in Emilia Romagna. Crede che questo abbia in parte inciso nella scelta di includerla nel governo?

"Ha inciso in me, profondamente. Perché questa esperienza amministrativa, iniziata nel 2010, ha coinciso due anni più tardi con l’emergenza del terremoto. Ci siamo ritrovati con centinaia di scuole a pezzi, gli studenti da riportare tutti in aula al più presto, e un sistema da far ripartire: nell’obbligo di ricostruire ho imparato tanto, a iniziare dall’esigenza di essere pragmatici nelle scelte, ma anche di non limitarsi a rimettere in asse i muri e le porte, ma di guardare avanti. Siamo partiti dai calcinacci e ora ragioniamo anche di Big Data. Avere la delega, oltre che della scuola, anche della ricerca e della formazione al lavoro, mi ha fatto capire quanto tutto si intrecci".

Sarà così anche in epoca Covid?

"Più che mai. E’ un altro terremoto, ancora più vasto. Partiamo da una situazione estremamente difficile, ma sono convinto che riusciremo ad affrontarla. Specie se lavoreremo con uno spirito di gruppo, dentro il governo ma soprattutto nel Paese, con tutti gli attori che chiameremo a partecipare".

C’è di chi ricorda quanta influenza può aver avuto la sua collaborazione e amicizia con Romano Prodi. Ma restando all’oggi, ci parli della conoscenza con Mario Draghi.

"Le racconto un aneddoto. Nel 1976, dopo aver ottenuto una borsa di studio a Trento, divenni assistente di un giovanissimo professore, che un giorno avrebbe guidato la Bce e ora il governo. Battute a parte, la conoscenza e la stima con Draghi è radicata, abbiamo lavorato assieme anche nel comitato di privatizzazione dell’Iri".

Un’ultima curiosità: al momento della firma, si vedevano alcuni fogli spuntare vistosamente dalla sua tasca. Che cos’erano?

"Come gli studenti che temono di fare brutta figura, erano gli appunti con la formula del giuramento. Avevo paura di impappinarmi, così durante il viaggio l’ho ripassata, per mandarla a memoria".

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