Mercoledì 24 Aprile 2024

Il marito blocca l’allenatrice dell’Iran "Niente mondiali di sci, stai a casa"

La legge islamica consente all’uomo di impedire che la moglie lasci il Paese: il sogno interrotto di Samira. L’ex campionessa Kostner lancia la protesta a Cortina: in gara indossate un nastro per denunciare questo abuso

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di Riccardo Jannello

Da atleta, e nubile, girava le piste di sci di tutto il mondo presentandosi al cancelletto di partenza degli slalom con buone possibilità di ben figurare. Ma ora Samira Zargari, 37 anni, direttrice tecnica della squadra iraniana femminile di sci, non può essere a Cortina per seguire le sue ragazze ai Mondiali perché il marito – invocando la sharia – non ha voluto. E così è stata sostituita da una collega, Marjan Kahlor, che sposata non si è ancora. Nella sua vita da atleta, Samira – cresciuta sui pendii di Dizin, Tochal e Shemshak – ha collezionato un 4° posto in 5 anni di Coppa del Mondo, mentre dominava le gare che negli stessi anni – fra il 2004 e il 2009 – venivano disputate in Iran e Turchia. Il marito di Samira ha approfittato della legge della Repubblica Islamica dell’Iran che parla della concessione del passaporto a una donna e la possibilità dei suoi viaggi all’estero solo se il coniuge dà il permesso.

"Lui – dice l’ex campionessa mondiale di sci Isolde Kostner – ha interpretato male la sharia come fanno molti uomini iraniani. Propongo che a Cortina le atlete indossino un nastro o un fiocco come solidarietà alla Zargari". Neppure le autorità sportive di quel Paese sono riuscite a convincere l’uomo, ma non hanno neppure trovato un giudice che, per urgenza, emettesse un’ordinanza com’era accaduto nel 2015 per Niloufar Ardalan, capitana della nazionale femminile di calcio a 5 che poté partecipare ai Mondiali grazie al sì di un magistrato. La Zargari è stata sfortunata come l’atleta paralimpica Zahra Nemati, che non poté difendere le sue chance in una manifestazione di tiro con l’arco nel 2017. Prima della rivoluzione islamica del 1979 le atlete iraniane assomigliavano alle loro colleghe occidentali: con lo Scià potevano mostrare gambe e muscoli senza barriere geografiche e senza che nessun parente potesse opporsi; dal 1979 quelle che hanno partecipato a Olimpiadi e Mondiali l’hanno fatto con divise sempre più tecnologiche ma provviste di chador e copertura completa. "La notizia è terribile; è brutto apprendere che ancora una volta la cultura patriarcale abbia il sopravvento sull’umanità", afferma Giorgia Butera, sociologa siciliana, che con ’Woman’s Freedom in Iran’ lotta per la condizione femminile nel Paese orientale. "Mi dispiace anche che lo sport non sia riuscito a superare le differenze – prosegue Butera –. Quando nel 2019 le donne entrarono per la prima volta in uno stadio, sennò la Fifa avrebbe escluso la Nazionale da tutte le competizioni, furono relegate in una gabbia, ben divise dagli uomini". La sociologa cerca di spronare le donne: "Non riescono a ribellarsi del tutto, temono di essere picchiate, incarcerate o addirittura uccise. Spero che partendo dal caso dell’allenatrice di sci, in fondo minore ma popolare, le istituzioni si facciano sentire ancora di più in questo processo di liberazione delle donne iraniane che permetterebbe un salto di qualità culturale e sociale di quel Paese. Come attiviste saremo sempre in prima linea".