Venerdì 19 Aprile 2024

Bellano: il maresciallo ‘Casanova’ e le mogli degli altri

A Bellano, sul lago di Como, scritte contro un carabiniere. La vicenda sembra uscita da un romanzo di Piero Chiara o una canzone di De André

Migration

Di solito la bréva, la brezza che increspa ruvida la superficie del Lago di Como, annuncia l’arrivo del sereno. Ma a Bellano, tremila e duecento anime sulla sponda lecchese del Lario, sibilando e sussurrando, il venticello della calunnia ha sconvolto la vita del paese. Gli ingredienti, dosati secondo la più schietta ricetta nazional-popolare, sono un classico della cinematografia anni Cinquanta: il maresciallo dei carabinieri, le malelingue, un marito che si dice tradito. E una scritta sul muro, vergata con grafia malferma ma perfettamente leggibile, che un bel mattino di sole autunnale intima al sottufficiale un esplicito "non toccare le mogli degli altri". Frase al plurale, ma la ’vile mano anonima’, come la chiamava il Giovannino Guareschi di ‘Mondo piccolo’, è probabilmente una sola.

E, naturalmente, in paese radio-beghina ha già l’identikit di tutti i protagonisti, compreso l’infuriato e geloso coniuge. Anche perché sul ‘tazebao’ improvvisato che appare sulla scuola e poi su una bella parete gialla, in pieno centro, l’insulto che accompagna la spiegazione non è in vernacolo locale.

Come un formicaio stuzzicato da un bambino capriccioso, il borgo all’improvviso si anima, brulica di parole, di persone che vanno a vedere. Esplode il cliché della provincia italica, il sindaco costretto a intervenire, a commentare, a rimettere ordine nel turbato empireo del notabilato locale, che fuori dalle metropoli ancora si regge sull’immutabile gerarchia celeste maresciallo-dottore-parroco-farmacista. Chi si schiera, chi filosofico scuote la testa. Fino a che lo scandalo non si era palesato in spray e veleno sotto lo sguardo dei passanti di via Cavour, pietosamente emendato da una mano di vernice, poteva esser solo l’argomento di qualche "smortina tuttossa", come quelle raccontate dal concittadino medico-scrittore Andrea Vitali. Una storia da sussurrare a mezza bocca, sul sagrato, dopo la prima messa del mattino. Tanto a confessarsi ci si pensa domani.

Ma la ‘finestra vista lago’ non dà su un panorama sereno. Non è ‘Pane amore e fantasia’, la vicenda di un maresciallo alla Vittorio De Sica, col baffetto tentatore, a mettere in subbuglio la vita del villaggio fra la corte alla levatrice-zitella e un’occhiata concupiscente alla giovane Bersagliera-Lollobrigida. E qui non c’è neppure quella goliardica, distaccata, sorniona lussuria delle storie di Piero Chiara e del suo caffè di Luino, che si specchia su un altro lago. Dietro il bianco e nero da pellicola d’epoca c’è un guaio vero, un’autentica gatta da pelare. Un luogotenente che rischia il trasferimento e che corre, lui, il pericolo di finire, come Bocca di Rosa, virtualmente scortato dai colleghi a prendere "il primo treno". E c’è poca voglia di ridere anche fra i vertici della Benemerita lecchese, che hanno dovuto avviare un’inchiesta interna.

Perché – che sia solo una bugia come sostiene l’interessato o ci sia un fondo di verità – anni di specchiato servizio in caserma non bastano a ridare serenità al villaggio. Di mezzo ci sono le vite reali di almeno un paio di famiglie, di figli, di mogli che con questa storia dovrebbero inevitabilmente continuare a misurarsi. Che poi, a ben vedere, la mentalità rétro è come il diavolo: si nasconde nei dettagli. Perché al massimo, se di tradimento si tratta, si chiede conto a chi abbiamo sposato. Non a chi ce la porta via, come se fosse un oggetto. Appunto. Intanto, a far svanire per sempre il tono da commedia arriva anche l’epilogo tipico di ogni racconto all’italiana: l’immancabile fascicolo aperto dalla Procura della Repubblica.