Giovedì 25 Aprile 2024

Il marchio del fascino ha fatto strada Pirelli è un bella signora di 150 anni

Pneumatici, arte, sport e top model: un’azienda divenuta icona. Tronchetti Provera: "Ringiovaniamo ed è bellissimo"

di Sandro Neri

Il primo gennaio 1883, all’apertura della stagione, il Teatro alla Scala è illuminato elettricamente. Le 2.880 lampade a incandescenza che regalano un’immagine del tutto inedita del tempio della lirica illuminano quella sera il marchio di una fabbrica destinata ad affiancare il suo nome e la sua immagine nel mondo al concetto di innovazione. È la Pirelli infatti ad aver costruito i cavi che alimentano l’avveniristico impianto di illuminazione. In quel comparto, fino a poco prima dominato dai britannici, la Pirelli è già allora la prima azienda dell’Europa continentale.

La fabbrica, aperta nell’allora via Ponte Seveso, proprio dove oggi sorge il Pirellone, produce a pieno ritmo già dal 1873. Non solo cavi, ma apparecchi per macchine industriali, giocattoli, palle da gioco, impermeabili, merceria. Giovanni Battista Pirelli, che a 23 anni, il 28 gennaio 1872, fonda a Milano la G.B. Pirelli & C., ha deciso di puntare l’attività sulla lavorazione della gomma. Un’intuizione che fa ancora oggi della Pirelli, giunta ieri a celebrare con un evento al Piccolo Teatro di Milano i 150 anni di attività, un marchio di successo, riconosciuto in tutto il mondo. Non solo una rete di 18 fabbriche aperte in 12 Paesi (30.000 i dipendenti), ma un brand che testimonia vocazione per la ricerca, politiche di internazionalizzazione, attenzione per la cultura, il costume e la comunicazione. Nessun altro ha osato mettere i tacchi a spillo a Carl Lewis per lanciare, nel 1994, uno slogan che è molto più di uno spot: la potenza è nulla senza controllo. "Pirelli è una bella signora che sta ringiovanendo ed è una cosa meravigliosa", assicura Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e ceo della multinazionale che dal 1964 lega il suo nome al più famoso dei calendari. "Il suo segreto sono le persone – precisa – il senso di appartenenza dei ‘pirelliani’".

Una filosofia passata dal fondatore ai figli Piero e Alberto e poi al nipote Leopoldo e diventata marchio di fabbrica di tutti i prodotti. A cominciare dal cinturato, il primo pneumatico radiale che arriva sulle strade anticipando l’espansione del mercato automobilistico legato al boom economico, e, negli anni Settanta, dal P7, primo pneumatico ribassato a elevatissime prestazioni. Entrambi eredi di quell’Ercole che aveva visto Pirelli trionfare nella Pechino-Parigi del 1907. Grande passione, i motori. Sono 350 le competizioni motorsport in cui la multinazionale è presente. Anche se il suo brand campeggia nel calcio, nel ciclismo, negli sport invernali e, con Luna Rossa, anche nella vela. Alla Formula 1 è legata la prossima sfida: l’introduzione degli pneumatici a 18 pollici. Un’innovazione che potrebbe avere ricadute positive sul mercato delle auto.

"Guardare dentro per capire", il motto che ha portato a depositare 6.700 brevetti in 150 anni, continua nel lavoro delle 2.000 persone impiegate nel settore Ricerca & Sviluppo e nei progetti dedicati alla transizione all’auto elettrica. Oggi che i sensori forniscono informazioni immediate al guidatore, gli pneumatici nascono da alter ego virtuali a garanzia di maggiore sicurezza e sostenibilità.

L’epopea della Pirelli è un puzzle di intuizioni visionarie. Alcune delle quali alla base di oggetti iconici o di creazioni diventate un simbolo. Come il grattacielo Pirelli di Milano, nato sulle rovine della fabbrica bombardata e oggi famoso quanto il Duomo. O come lo stabilimento di Settimo Torinese, progettato da Renzo Piano, che ha ospitato il "Canto della fabbrica" diretto dal maestro Salvatore Accardo. Un evento, questo, in continuità con una tradizione – quella del dialogo fra cultura e azienda – iniziata col primo concerto italiano di John Cage nel vecchio stabilimento della "Brusada" e, ancora prima, col contributo alla fondazione del Piccolo Teatro di Paolo Grassi e Giorgio Strehler.

"Pirelli ha lasciato diversi segni permanenti nella comunicazione – spiega dal palco Annamaria Testa – due fondamentali: il primo, la grafica del marchio con quella P allungata che sembra di gomma; il secondo, quell’immagine di Lewis fotografato da Annie Leibovitz con le décolleté rosse". In questa lunga storia anche qualche passo falso. Le mancate fusioni, negli anni Novanta, con Dunlop e Continental, e poi la vicenda Telecom Italia. "In un’azienda che ha vissuto attraverso tre secoli è normale che ci siano delle sconfitte - commenta Tronchetti - ma l’importante è guardare avanti e ricominciare". Prossimo traguardo, "essere leader nella tecnologia".