Dal suo insediamento di Bat Ayn, in Cisgiordania, Moty Karpel, 70 anni, punto di riferimento del movimento dei coloni ebrei, segue con grande partecipazione la guerra a Gaza. Due figli e quattro cognati sono stati richiamati nella riserva delle forze armate. Attorno a Bat Ayan ci sono pattugliamenti rafforzati, giorno e notte. In lui non c’è tuttavia alcuna sorpresa. Già nel 2018 avvertiva su Makor Rishon, giornale del nazionalismo religioso, del pericolo che ancora incombeva a Gaza, a suo parere, anche dopo il ritiro voluto da Ariel Sharon nel 2005. "Siamo usciti da Gaza – scriveva –. Pensavamo ci fossimo liberati del suo onere, ma essa insiste a perseguitarci. Cerchiamo di nasconderci dietro muraglie e reticolati, ma lei li supera con facilità e torna a ficcarci un dito nell’occhio. "Ecco – afferma –. Sono sempre qua".
Dunque aveva intuito il pericolo. A differenza dei vertici militari e politici di Israele, non si era fatto illusioni, ossia che si sarebbe potuto mantenere una sorta di stabilità a Gaza in cambio di massicci aiuti finanziari internazionali e poi anche dell’ingresso in Israele di migliaia di manovali. Tuttavia Karpel ammette di non aveva compreso allora, né poi, le forti debolezze israeliane venute alla luce il 7 ottobre, quando 1.400 civili e militari sono stati massacrati in poche ore da Hamas in territorio israeliano. Lo ha colpito il fatto che "nemmeno gli alti ufficiali dell’esercito abbiano compreso la situazione". Inoltre nel 2023 la leadership politica, da Netanyahu in giù, con la sua profonda riforma giudiziaria, ha provocato nel Paese lacerazioni tali "che hanno fatto pensare, erroneamente, a Hamas che la nostra società si stava lacerando". Dunque responsabili anch’essi.
"Adesso comunque il nostro popolo ha riacquistato la sua compattezza, che è la sua condizione storica naturale. Noi – prosegue questo teorico cresciuto in collegi rabbinici di Gerusalemme – crediamo che niente al mondo sia casuale, che ci sia una Provvidenza, uno scopo. Siamo tutti nelle mani del Signore".. Al momento l’esercito di Israele deve approfondire la penetrazione a Gaza.
Anche in Cisgiordania, dove abita, la tensione è a fior di pelle. Il rischio di attacchi ad insediamenti ebraici esiste. "Tutto può esplodere in ogni momento", avverte. Eppure i palestinesi della Cisgiordania seguono a suo parere con la massima attenzione le immagini che giungono da Gaza dove, su ordine dell’esercito, centinaia di migliaia di persone vengono spronate a lasciare le loro case nel nord della Striscia per garantire all’esercito spazio di manovra. "Quelle folle di palestinesi in marcia ricordano loro la Nakba", il ‘disastro’ della costituzione di Israele nel 1948 e la partenza di masse di profughi. E quelle immagini servono anche da deterrente.
Nella guerra a Gaza Karpel nota intanto una accresciuta partecipazione di militari e di ufficiali cresciuti nei collegi rabbinici e negli insediamenti. Nel sionismo religioso c’è "una grande energia, una forza trascinante di idealismo, sia nelle colonie sia nelle forze armate". Autore di un libro pubblicato 20 anni fa, ‘La rivoluzione dei credenti’, Karpel ritiene che sia in corso un avvicendamento storico fra la elite israeliana dei padri fondatori (legata ai kibbutz e al movimento laburista) con quella emergente forgiatasi nei collegi rabbinici nazionalisti. "’Dopo tre generazioni la elite passata ha perso lo slancio, e adesso emergono forze nuove".
A suo parere non c’è dubbio che dopo la guerra Netanyahu sarà messo da parte. Ma chi potrebbe venire al suo posto? Forse un esponente del sionismo religioso? "I tempi – secondo Karpel – non sono ancora maturi. Si tratta di cambiamenti storici molto profondi. Eppure una figura potrebbe essere già sulla scena politica". Si tratta dell’ex premier Naftali Bennett, uomo in prima fila nel high tech israeliano e anche con radici profonde nel sionismo religioso.