Il killer e la pistola Poligono sotto accusa La difesa del prefetto: "Gesto imprevedibile"

Frattasi: "Si è trattato di un raptus, la città è sicura". Ma è polemica. L’ex ministro Bongiorno (Lega): Campiti era stato già denunciato. Ieri il Comitato per l’ordine e la sicurezza dopo la mattanza di domenica

Migration

di Giulia Prosperetti

ROMA

"Visti i recenti gravi fatti, per disposizioni esterne, il Poligono potrebbe rimanere chiuso per un periodo di tempo imprecisato". L’annuncio campeggia sul sito del Tiro a Segno Nazionale di Roma, da ieri sotto sequestro su disposizione della Procura di Roma. È lì che Claudio Campiti, 57enne originario di Ladispoli, domenica mattina si è procurato la Glock 45 con cui, poco dopo, ha sparato sui rappresentanti del Consorzio Valle Verde riuniti a Fidene uccidendo tre donne e ferendo altre tre persone.

Al vaglio degli uomini dell’Arma, coordinati dalla Procura di Roma, vi sono ora la documentazione, i verbali di ingresso e uscita di domenica scorsa e le telecamere presenti all’interno della struttura. Sembra, tuttavia, che uscire indisturbati dal poligono con un’arma in mano non sia poi così difficile. La pistola potrebbe essere stata consegnata a Campiti – esperto tiratore e persona conosciuta al poligono dove era iscritto dal 2018 – seguendo la procedura ovvero "in una valigetta chiusa e sigillata con una fascetta, la quale può essere rimossa unicamente dal direttore-vice direttore-istruttore di tiro presso gli impianti" e "previo controllo delle abilitazioni trascritte sulla tessera sociale e la consegna di un documento d’identità valido". Le abilitazioni Campiti le aveva – incluso un certificato medico volto a escludere "malattie mentali" – e il diniego ricevuto dall’uomo al porto d’armi sportivo non rappresenta un limite. Sebbene la struttura sia dotata di un sistema di videosorveglianza e sia espressamente vietato al tiratore che ha in consegna un’arma noleggiata "fermarsi in locali diversi dagli impianti di tiro", l’unico effettivo deterrente al compiere condotte devianti appare essere la certezza di essere beccati. Come raccontano alcuni iscritti, è prassi percorrere da soli con la pistola al seguito il tragitto che separa l’armeria dall’area di tiro. Un percorso che passa attraverso il parcheggio. Dopo aver ritirato l’arma Campiti può dunque essersi avviato verso la sua macchina senza destare, almeno nell’immediato, troppi sospetti. Un precedente già c’è: nel gennaio 2012 venne rapinato un ufficio postale di Firenze con una pistola sottratta proprio a Tor di Quinto.

"Evidenti falle" nelle procedure di sicurezza all’interno del poligono sono state segnalate dal segretario del Savip Vincenzo del Vicario: "Armeria distante dalle linee di tiro, nessun controllo agli ingressi in entrata e uscita, mancanza di vigilanza e di metal detector, assenza di conteggio delle munizioni esplose".

Se, sul fronte del poligono, eventuali responsabilità a carico dei gestori devono ancora essere accertate, ieri al termine del Comitato ordine e sicurezza – dal quale è emersa l’esigenza di un rafforzamento dei controlli sull’utilizzo delle armi nei tiro a segno nazionali e nei poligoni di tiro – il prefetto di Roma Bruno Frattasi ha affermato che nonostante il "contenzioso civile che Campiti portava avanti contro il Consorzio non c’erano segnali evidenti che questa persona potesse esplodere nel raptus omicida". Una difesa che stride con le numerose denunce presentate dagli abitanti del Consorzio nei confronti dell’uomo per le minacce ricevute e i comportamenti fuori dall’ordinario. Segnali che sono stati sottovalutati. "Qui c’erano delle denunce reciproche e a volte – ha sottolineato la presidente della Commissione Giustizia del Senato Giulia Bongiorno – c’è la tendenza a considerarle liti minori. Invece bisognerebbe sempre cercare di valutarle tempestivamente".