Giovedì 18 Aprile 2024

Il grande fiasco dei referendum Sulla giustizia cala l’indifferenza

Affluenza ai minimi storici. Esce sconfitto Matteo Salvini, che sui 5 quesiti aveva messo la faccia. La soddisfazione del Pd: è finita la guerra dei trent’anni. Riprende il cammino la riforma Cartabia

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di Antonella Coppari

ROMA

Cronaca di un flop annunciato, previsto e, in una certa misura, costruito con sapienza. Mai i seggi sono stati così vuoti: alle 19 aveva votato per i 5 referendum sulla giustizia meno del 15% degli elettori. Gli attivisti del sì commentano depressi la batosta sui social, se la ridono con il top trend su twitter #ciaone i fan del no. Il sogno di raggiungere il quorum (50% più uno degli aventi diritto) non lo nutriva nessuno. La sfida era mettere insieme una percentuale dignitosa, intorno al 30%. Una causa persa. Difficile invogliare gli italiani – salvo i più convinti – a votare con la certezza di fare uno sforzo inutile. Le ragioni del flop sono molteplici, e tra queste va incluso un certo autolesionismo dei referendari. Con il tempo, è vero, i quesiti sono diventati sempre più incomprensibili, questa volta però sfioravano il grottesco. Tanto più che la materia era molto oscura per chi, per lavoro o passione, non si occupa di giustizia.

Ma non c’è dubbio che una parte anche maggiore della responsabilità è dei media. Con una campagna referendaria presa sul serio, giornali e tv avrebbero potuto chiarire e sviscerare i quesiti. Non l’hanno fatto: anzi, è stato dedicato ai referendum uno spazio inferiore rispetto al passato. Un po’ perché la guerra tiene banco, calamitando attenzione e share, un po’ perché molti puntavano proprio su questo risultato. È il problema endemico di questo istituto in Italia, frutto anche dell’inflazione referendaria imposta dai radicali: la sfida non è più tra sì e no, ma tra quorum e non quorum. Per cui i ’no’ partono sempre con un vantaggio: quel 25-30% di astensionismo cronico.

Fine dei giochi. Ora riprende il cammino in Senato la riforma Cartabia che contiene, tra l’altro, l’argomento di tre quesiti (separazione delle funzioni, valutazione degli avvocati sulle toghe, sistema elettorale del Csm); dopo un rapido ritorno in commissione, mercoledì 15 arriva in aula. A meno di improbabili colpi di scena, il sì definitivo dovrebbe arrivare in settimana.

Per quanto si sforzi di attutire la mazzata e di parare il colpo, lo sconfitto è senza dubbio Matteo Salvini che evita di parlare. Dal quartier generale di via Bellerio, all’ora di cena, esce una nota a nome della Lega per ringraziare "i milioni di italiani che hanno votato o voteranno nonostante un solo giorno con le urne aperte, il silenzio di troppi media e politici, il weekend estivo e il vergognoso caos seggi visto per esempio a Palermo". Non c’è dubbio che il voto di ieri si inserisce nella serie nera iniziata con il fatidico errore del Papeete nell’agosto del 2019 e mai più interrotta. L’appoggio del centrodestra? Più formale che sostanziale, con Giorgia Meloni che si è schierata per il ’no’ a due quesiti su 5: cancellazione della Severino e abolizione del carcere preventivo per chi può reiterare il reato, i due che, ad urne appena aperte, avrebbero segnato una maggior percentuale di no. La faccia ce l’ha messa solo il capo della Lega. Ovviamente, senza contare Berlusconi che ieri mattina ha rotto il silenzio elettorale sparando a zero contro i magistrati politicizzati e la legge Severino.

Ma il suo, data l’eterna guerra contro la magistratura, è un caso a sé. "In Italia siamo masochisti: c’è la volontà di mantenere le cose come stanno". Un risultato vicino al quorum avrebbe permesso al Capitano di cantare comunque vittoria, di provare ad intestarsi l’elettorato del sì. Anche se, come si è visto ai tempi del referendum costituzionale di Renzi, è un giochino che non funziona mai. Esulta Letta, schierato con il no, mentre gronda ira l’Unione camere penali: "Esito scontato. Abbiamo denunciato il silenzio, ma è stato insensato l’appalto a una forza politica di referendum complessi". Gli fa eco la la senatrice e responsabile Giustizia del Pd, Anna Rossomando: "La guerra dei trent’anni sulla giustizia è finita". Partita chiusa. Da stamani l’attenzione sarà concentrata sull’esito delle amministrative.