Martedì 23 Aprile 2024

Il governo si rimangia la promessa ai ragazzi Superiori in classe, la soglia scende al 50%

Dietrofront rispetto all’indicazione minima del 75% fissata nel Dpcm del 3 dicembre. Il nodo resta quello dei trasporti

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di Veronica Passeri

Le scuole riapriranno, superiori comprese, il 7 gennaio, ma la promessa della didattica in presenza al 75%, scritta nero su bianco dal premier Giuseppe Conte nel Dpcm del 3 dicembre, è già scivolata al 50%. Una soglia minima che dovranno rispettare tutte le regioni, fatta salva la possibilità, per chi può, di alzarla

Ieri la conferenza unificata Stato-Regioni ed enti locali ha trovato l’intesa sulla data e sulla percentuale di lezioni in presenza ma solo poche settimane fa le premesse e le promesse erano altre.

Basta scorrere il testo dell’ultimo Dpcm, arrivare al comma dieci, lettera ’s’, dell’articolo uno, ed ecco che si annuncia "a decorrere dal 7 gennaio" il ritorno alle lezioni in presenza per "il 75% della popolazione studentesca" delle superiori.

Passano venti giorni e non vale più. Non ci sarà, si spiega in ambienti di maggioranza, un nuovo Dpcm ma il cambio di percentuale per la didattica in presenza alle superiori sarà contenuto probabilmente in una ordinanza del ministro della Salute Speranza.

Ieri il presidente del Consiglio l’ha messa così: "Dobbiamo ripartire, ripristinare la didattica in presenza almeno al 50% per le scuole secondarie superiori con il massimo di flessibilità". E il 75%? Non pervenuto.

Ma cosa è successo dopo il Dpcm del 3 dicembre? Della percentuale del 75% si sono perse le tracce dopo che il 9 dicembre il ministero dell’Istruzione ha inviato alle scuole una nota con le modalità di applicazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri.

Da lì in poi il buio. O, meglio, il fatto che la curva epidemiologica delle ultime settimane, con il rialzo dell’indice di contagio Rt, preoccupa e, intanto, il nodo dei trasporti è tutt’altro che risolto.

Così, pur senza un nuovo decreto, si sono cambiate le carte in tavola: una nota di viale Trastevere ha spiegato, infatti, che in vista della Conferenza unificata Stato-Regioni di ieri "è emersa l’esigenza di modificare" il Dpcm nel senso di "fissare come obbligatorio il raggiungimento del 50% dell’attività didattica in presenza con l’obiettivo assicurare il raggiungimento del 75%, in modo graduale, ove questo non sia da subito possibile".

Insomma, ancora un passo indietro che, peraltro, accoglie le richieste di alcuni presidenti di Regione.

Il punto, comunque, non sono le preoccupazioni fondate e sensate su una terza ondata di contagi ma l’assenza di un piano vero, messo a terra, sulla scuola. Mancava a settembre un piano serio – corsia preferenziale per tamponi rapidi nelle scuole, tracciamento dei contagi, ingressi scaglionati e potenziamento delle corse del trasporto pubblico locale, per intendersi – per il rientro in classe di tutti gli otto milioni di studenti e il rischio è che quel piano manchi anche a gennaio.

I tavoli provinciali convocati dai prefetti stanno lavorando ma il nodo del trasporto pubblico locale è stato discusso ovunque e risolto quasi da nessuna parte. A quanto pare solo a Milano il piano rientro sarebbe già in piedi.

È indispensabile, come ha ricordato in un’intervista a questo giornale il coordinatore nazionale del Cts Agostino Miozzo, preparare un piano qualunque sia lo scenario epidemiologico del 7 gennaio.

Perché il 7 gennaio è una sorta di ’prova appello’ che non si può fallire. Sono passati quasi dieci mesi da quel lontano, ma vicinissimo 5 marzo, in cui furono chiuse le scuole di tutta Italia, ma ancora non si è trovato un sistema per provare a riportare in classe tutti.