Mercoledì 24 Aprile 2024

"Il governo non abbassi la guardia In gioco ci sono i dati degli italiani"

Il professor Michele Polo (Bocconi) è convinto: gli americani non molleranno la presa sulla rete

Migration

di Elena Comelli

La pandemia verrà ricordata anche per aver riacceso i riflettori sulla rete internet italiana. Non è un caso se, proprio adesso, il fondo americano Kkr ha messo sul tavolo 11 miliardi per comprare Tim, compresa la sua rete. Una mossa che Michele Polo, economista della Bocconi esperto di tlc e membro dell’organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di Telecom Italia, vede come un passo verso lo sviluppo di due diverse reti in Italia.

Non sarebbe meglio concentrare gli sforzi su un’infrastruttura sola?

"Un fondo serio come Kkr non sarebbe intenzionato a pagare tutti quei soldi per un’Opa totalitaria, se non intendesse tenere la rete all’interno del perimetro di Telecom".

Quindi l’opa di Kkr è destinata a prevalere?

"Kkr ha offerto un terzo di più del valore iniziale del titolo. Vincent Bolloré, patron di Vivendi, è un grande finanziere e quindi tenterà di spuntare il massimo, ma se troverà una via onorevole per uscire la coglierà. Questo, assieme alla posizione che ormai la Commissione Ue ha preso in maniera chiara, porta a pensare che l’Italia sia destinata ad avere due reti in competizione fra di loro".

Qual è la posizione della Commissione Ue?

"Secondo la Commissione non è possibile riunificare in un’unica rete, come sembrava fino a dieci giorni fa, le infrastrutture di Telecom e quelle di Open Fiber, perché in questo modo si creerebbe un’unica infrastruttura, per di più controllata da un soggetto molto forte nei servizi di telecomunicazione".

Ce lo possiamo permettere, di avere due reti?

"Le risorse per svilupparle entrambe ci sono, tanto più con la scesa in campo del Pnrr".

È una buona soluzione?

"Due reti aumentano la raggiungibilità degli utenti. Se un operatore trova degli ostacoli sulla rete di Tim, che vuole difendere i propri servizi, può accedere a quella di Open Fiber".

Come vede il ruolo dello Stato in questo contesto?

"Cassa Depositi e Prestiti ha già la maggioranza in Open Fiber, che controlla con il 60%, mentre il resto è in mano al fondo australiano Macquarie, che ha rilevato la quota di Enel. Su questa rete, quindi, lo Stato agisce direttamente come investitore. Cdp ha anche il 10% di Tim, quindi lo Stato ha una voce in capitolo anche qui. Una rinazionalizzazione completa della rete a questo punto non è più possibile, perché un investitore serio come Kkr scapperebbe dopo mezzo minuto".

Il governo però può imporre delle condizioni precise...

"Il governo ha preso una posizione giusta di attenzione, perché stiamo parlando di un’infrastruttura strategica, ma anche di rispetto nei confronti delle mosse di mercato degli azionisti privati, visto che Telecom comunque dal ‘98 è un’azienda privata. Con il golden power può imporre due condizioni: da un lato dev’esserci un impegno chiaro di sviluppo della rete a banda ultralarga, dall’altro ci dev’essere un presidio rigidissimo sulle condizioni di sicurezza dei dati".

Questo mi sembra già chiaro nel comitato che è stato appena formato...

"Già il fatto che nel comitato siedano, oltre a Franco e Giorgetti, anche il vicesegretario Gabrielli con delega ai servizi, fa capire che il governo ha ben chiaro che ci devono essere delle garanzie rigidissime su tutta la gestione dei dati, delle reti e del cloud, perché lì dentro stiamo mettendo tutti i dati del Paese".