
Incassato (e non è poco) il verdetto più favorevole di Moody’s sulle prospettive dell’economia italiana, il governo deve fare i conti con due passaggi cruciali per la gestione di conti pubblici e politica economica: il giudizio della Commissione Ue sulla manovra, atteso martedì, e la stretta finale sul negoziato per la riforma del Patto di Stabilità. Il tutto mentre il Centro studi di Confindustria illustra uno scenario più grigio rispetto all’agenzia di rating: "La crescita è ferma".
Ma partiamo dalle buone nuove. Ha più di un motivo il governo per "festeggiare" il risultato arrivato dagli Usa. È vero che non cambia il rating (poco sopra quello applicato per i titoli "spazzatura"), ma viene modificato in meglio il giudizio sulle prospettive economiche (quello che si chiama "outlook") da negativo a stabile. Il che non era scontato. E l’accento è posto sull’attuazione del Pnrr: "Un’opportunità che capita una volta in una generazione, ma va attuata efficacemente".
Si comprende, dunque, la soddisfazione a caldo del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ("una conferma che, seppure tra tante difficoltà, stiamo operando bene per il futuro dell’Italia"), che potrà avere meno timori per spread, collocamento dei titoli pubblici e andamento della Borsa. Come anche si capiscono le parole con cui la premier Giorgia Meloni ha commentato la notizia con i suoi collaboratori: "La serietà dell’impostazione della manovra paga". O le dichiarazioni dei vicepremier Matteo Salvini ("alla faccia dei gufi l’Italia corre e quest’anno crescerà più della Germania") e Antonio Tajani ("siamo sulla strada corretta") e di altri big della maggioranza che spingono di più sulla polemica politica: "Un periodaccio per la sinistra".
Il punto è che a questo punto siamo oltre il giudizio di Moody’s. L’attenzione dell’esecutivo è tutta rivolta non più agli Stati Uniti, ma a Bruxelles. In primo piano la valutazione che darà la Commissione europea sulla manovra. Il parere è basato sull’aderenza della manovra alle raccomandazioni di maggio. L’attesa è che non ci siano grandi sorprese dalla parte più numerica, messa a punto da Roma con grande attenzione alla tenuta dei conti pubblici.
Rispetto alla parte più politica del giudizio, invece, nelle raccomandazioni di maggio oltre al risanamento graduale e sostenibile dei conti figurano, tra l’altro, quella di un assorbimento efficace dei fondi europei, l’attuazione del Pnrr, il calo delle imposte sul lavoro, la corretta attuazione della legge delega sulla riforma fiscale, la razionalizzazione delle spese fiscali e l’allineamento dei valori catastali ai valori di mercato.
Sul Patto, dopo settimane di negoziato si moltiplicano le ipotesi sulle nuove riunioni, ma sulla bozza legislativa resta ancora tutto fermo. Continuano invece gli incontri bilaterali: la prossima settimana sarà il ministro Giorgetti ad andare a Parigi (martedì) e Berlino (mercoledì), in occasione del summit italo-tedesco. Le cancellerie europee all’indomani guarderanno a quanto avverrà a Roma sulla ratifica del Mes o sull’eventuale nuovo rinvio. Al momento è in calendario alla Camera mercoledì. Certo è che la premier è stata netta: "Sarebbe folle accettare un Patto rigido".
Ma il governo deve fare i conti anche con i rischi o la possibilità concreta di una recessione. Avverte Confindustria: "Il Pil è rimasto fermo nel terzo trimestre, e gli indicatori dicono che all’inizio del quarto l’attività nei servizi è in lieve calo, come nell’industria. Anche se l’inflazione è finalmente tornata sotto il 2%, i tassi sono ai massimi e bloccano il canale del credito, frenando consumi e investimenti, mentre l’export aiuta poco. Con le guerre in corso sale l’incertezza, ma non il costo dell’energia (finora), però ben più alto del pre-crisi".