Giovedì 18 Aprile 2024

Il gesuita e il prete sardo. Lo scontro fra due Chiese

Il Pontefice incarna il rigore pauperista, l’ex prefetto la linea più familista. Dall’iniziale diffidenza era scaturita un’amicizia travolta dalla bufera finanziaria

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Roma, 29 settembre 2020 - Amici-nemici. Il gesuita e il curiale. Le vite parallele di Jorge Mario Bergoglio, origini italiane, o meglio piemontesi, piccola borghesia nata dall’emigrazione dolorosa, quindi la scelta di entrare nell’ordine più rigoroso di tutti, quello dei gesuiti con il taglio netto dalla famiglia di origine, e Giovanni Angelo Becciu, umili origini dall’entroterra sardo così a lungo dominato dai sabaudi, seminario italiano dagli undici anni, unico affetto stabile la famiglia, non potevano non incrociarsi nella Storia e, infine, entrare amaramente in rotta di collisione. Due carriere tipicamente ecclesiastiche.

La prima, quella del Papa argentino, coltivata all’interno della rigida disciplina gesuitica: i legami familiari si devono spezzare quando si entra. Probandato, postulandato. Noviziato. Il tuo credo diventa perinde ac cadaver. Non a caso la madre di Bergoglio pianse lacrime amarissime, quando Jorge le comunicò quella scelta più che militaresca. E si continua ogni marzo con gli esercizi spirituali nel segno di Ignazio di Loyola. Dall’altra parte, a distanza di una decina d’anni, don Angelo, il più intelligente e dotato di una famiglia numerosa, originaria di Pattada dove negli anni ‘50 ancora prima della pubertà si doveva capire: carabiniere, pastore, o la via del seminario?

La versione italiana del Rouge et noir. Due uomini così si sono incontrati nel 2013 uno come Papa e l’altro come sostituto della Segreteria di Stato. Numero 1 e numero 3. Diffidenza iniziale, poi simpatia. Tanto che Francesco nel 2013 celebra in Sardegna nel santuario di Nostra signora di Bonaria che aveva dato il nome proprio alla capitale argentina: Buenos Aires. Becciu era defilato, in un angolo. Si rafforza un feeling sull’onda del comune amore per la devozione popolare, per la terra con le sue asprezze, le sue fatiche. Il neo Papa e l’ormai curiale che ha girato le nunziature di mezzo mondo planando infine nella poltrona più prestigiosa, quella che fu di Paolo VI quando era Montini, di cui don Angelo ha abitato anche l’appartamento come alloggio di servizio dal 2011 al 2018, sembrano intendersi.

Don Angelo nelle secrete stanze di Santa Marta lo rende edotto delle norme, delle traditio dei canonici romani, gli parlerà anche dei buoni uffici con il mondo cattolico italiano che arriva fino all’entourage dell’attuale presidenza della Repubblica. Francesco indulge i primi tempi anche rispetto a quelli che sono i vizi già apparenti di don Angelo: un nepotismo e un familismo che forse affondano in un legame affettivo profondissimo con la terra di origine, con i fratelli che sono stati il punto fermo di una vita intera passata al servizio della Chiesa. I rapporti però si incrinano.

Francesco voleva proprio l’amicizia fraterna, trasparente, quasi cameratesca. "Perché non mi hai detto in che cosa investivate con i fondi della Segreteria?". Doveva confessarglielo don Angelo, la sua famiglia è la chiesa, non il legame di sangue. E invece non lo ha fatto. Lì si è rotto tutto e la diversità abissale è emersa. I due mondi, i due modelli sacerdotali, sono collisi. L’integerrimo e quasi pauperista Bergoglio come dimostra il fatto che la sorella Elena, viva a Buenos Aires in povertà. E l’oggi raffinato Becciu, tuttavia figlio di una Chiesa all’italiana, dove invece una volta, scelto il celibato (non la castità), il prete si arrangia come può nell’aiutare la diocesi, e purtroppo, peccato mortale, i parenti. Anche il modello delle cooperative è rodato.

È l’abc di una diocesi per risalire la china della disoccupazione e si arruolano spesso quelli rimasti ai margini della società: disabili, autistici, oggi più spesso i migranti. Che cosa farà ora Becciu? Tornerà nella diocesi dove è incardinato, a scrutare il mare Tirreno, il mare dell’esilio.