Giovedì 18 Aprile 2024

Il furbo Erdogan e il gioco (totale) della diplomazia

Mario

Arpino

Mentre il termovalorizzatore scompiglia la compagine governativa, le relazioni internazionali sono vivaci ed attive. Non che l’Italia non vi partecipi, anzi. Ma solo – temiamo – come attività residua, distratti dalle pantomime romane.

Con un Joe Biden affannato a “salvare democrazie” e, sopra tutto, gli interessi nel Pacifico, in Medioriente e in Arabia Saudita, nel nostro emisfero c’è chi gioca a tutto campo con colloqui, telefonate e visite bilaterali.

Ambiguo campione di questo attivismo è Recep Tayyp Erdogan, che coinvolge un po’ tutti, perfino la Nato, alla quale, quando si tratta di chiedere qualcosa in cambio di qualcos’altro, si ricorda sempre di appartenere. Tra i suoi interlocutori preferiti, Vladimir Putin è senz’altro in primo piano, ma nel panorama non manca l’ayatollah iraniano Ebrahim Rasi. Tra dittatori in pectore, sebbene lui sia sunnita e l’altro capo degli sciiti, pare riescano a intendersi a meraviglia.

È assai probabile che nell’imminente incontro parlino di controllo del nucleare, argomento del quale, grazie alle sua etichetta Nato, Erdogan si sente mediatore tra Putin, che incontrerà subito dopo, e gli Usa, dove si recherà più avanti. Nel frattempo, per il 19 luglio, a Teheran resta fissato un incontro tra i tre soggetti, ed è evidente che non si parlerà solo di nucleare. I “tre g”, grano, gas e geopolitica, potrebbero essere argomenti centrali. L’Europa è di fatto esclusa, se non altro per le precarie situazioni politiche interne di Macron e Johnson, cui ora si aggiunge il nostro Draghi.

A pensarci bene, oltre a Putin (con il quale non si parla) è Erdogan l’uomo che si è intrufolato in tutte le crisi: Ucraina, Medio Oriente, Nord Africa, Sahel, Mediterraneo orientale, e perfino in Georgia, Armenia e Azerbaijan. Non converrebbe tenercelo un po’ più vicino?