Sabato 5 Ottobre 2024
RITA BARTOLOMEI
Cronaca

Il figlio dell’operaio Quegli occhi all’insù "Guardo mio papà, che ora è in cielo"

Il fratello di Giuseppe, morto nello schianto col treno, accudisce il nipotino "Nessuno ha detto nulla al piccolo, ma lui ha capito ciò che è successo".

Il figlio dell’operaio  Quegli occhi all’insù  "Guardo mio papà,  che ora è in cielo"

Il figlio dell’operaio Quegli occhi all’insù "Guardo mio papà, che ora è in cielo"

di Rita Bartolomei

BRANDIZZO (Torino)

Giuseppe Sorvillo, 43 anni, uno dei cinque operai morti nella strage di Brandizzo, adorava i suoi due figlioletti. "Oggi abbiamo portato fuori il più piccolo – racconta al telefono Giovanni, il fratello della vittima, arrivato in paese con il papà Luigi –. A un certo punto ho visto che guardava in alto, gli ho chiesto: cosa c’è? Mi ha risposto: sto guardando papà in cielo. Hanno capito tutto".

Giovanni è il fratello rimasto al sud, a Sparanise (Caserta). Con Giuseppe facevano lo stesso lavoro prima che lui decidesse di trasferirsi al nord. L’impiego nel supermercato di Brandizzo poi il posto nella Sigifer. "Queste morti... Cose che non si possono sentire – è sgomento Giovanni –. Una persona esce per andare a lavorare, per dare un avvenire ai figli e non torna a casa. Com’è possibile?".

Ora c’è da pensare a sostenere Daniela e i bambini. Che cosa faranno? Rimarranno a vivere qui? "Questo non lo sappiamo ancora, decideranno. Ma la famiglia c’è, hanno l’appoggio di tutti, per qualsiasi cosa sanno di poter contare su di noi". Ieri in giornata il primo colloquio con un avvocato.

Marianna, moglie di Giovanni, non si dà pace. "Non può succedere una cosa del genere dopo che hanno scoperto l’acqua sui pianeti, non può succedere", singhiozza al telefono.

Si erano visti ad agosto, Giuseppe era andato a trovare la famiglia, chi poteva sapere che quello era un addio? Ha rivisto anche gli amici, grandi tavolate come si fa al sud. "Ci siamo sentiti al telefono anche poche ore prima che morisse, erano più o meno le otto di sera – ripensa Giovanni –. Voleva sapere come stavano mamma e papà". Era tranquillo.

Paolo Bodoni, il sindaco di Brandizzo che è anche medico, ha aperto una sottoscrizione per la famiglia, "ci siamo fatti aiutare da un onlus". Sente che questo è il suo compito adesso, "prendersi carico materialmente e moralmente di chi è rimasto".

Lo dice davanti alla stazione, ci sono ancora telecamere e domande, un biglietto su un mazzo di fiori chiede "rispetto per le vittime del lavoro onesto!!". Arriva il sindaco di Chivasso, Claudio Castello. Non riesce a dimenticare quella scena, lui che giovedì pomeriggio va da Lidia, la mamma di Giuseppe Aversa, che aveva 49 anni e nel suo comune era nato e cresciuto.

"Quella famiglia è stata abbandonata – è sbigottito –. La madre mi ha detto, "io non ho più saputo niente e mio figlio non c’è più". A casa si sono allarmati perché Giuseppe non era passato a prendere la compagna al lavoro, come faceva sempre la mattina alle sette. Lui lavorava fino alle 3 di notte, si riposava poi andava da lei per riportarla a casa. Con il passare delle ore dal tamtam sui social hanno capito che non era nella lista dei superstiti. Ma com’è possibile? Non le ha avvisate nessuno".

Giuseppe, calabrese d’origine, era figlio di un artigiano edile che si era trasferito al Nord tra gli anni Sessanta e Settanta. Nel 2010 aveva scelto di vivere a Borgo D’Ale, in una cascina.

Questi paesi raccontano storie di emigranti, sacrifici e voglia di farcela. "Siamo la seconda cintura di Torino schiacciata tra Settimo e Chivasso, sì un paese dormitorio", dice il sindaco Bodoni. Poi, mentre saluta Tino Magni, appena eletto presidente della Commissione d’indagine lavoro, sfruttamento e sicurezza: "Mi raccomando, senatore". Sfrecciano i treni ad alta velocità e si alza un gran polverone. È la calce bianca messa sui binari per coprire l’orrore di quella notte. Brividi.