Il fattorino ribelle: lavoro disumano. "Le nostre vite decise da una app"

Il rider-sindacalista: all’inizio delle proteste eravamo 4 gatti, ora devono assumere tutti gli sfruttati "L’algorimo seleziona chi può fare le consegne e sarà pagato. E con la pandemia neanche un bonus"

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Milano, 25 febbraio 2021 - Risponde con la voce squillante, ola per il procuratore di Milano che ha portato a compimento la più grande inchiesta a tutela dei "nuovi schiavi": "Greco ha sganciato una bomba. Non ci posso credere. Siamo stati sfruttati da colossi che durante la pandemia si sono arricchiti ancora di più. Assieme a tanti rider, mi sono battuto in una vertenza infinita. Sono emozionato, è la Tangentopoli delle piattaforme della gig economy".

Tommaso Falchi, 32 anni, accento toscano marcato ma fattorino del cibo a Bologna, dove è stato tra i fondatori della Riders union, ripercorre tutto con la mente. Da quando era insieme barista e rider per arrotondare a oggi, in sella alla bici a tempo pieno perché il circolo per cui lavorava è chiuso per Covid.

Sono stati anni da “schiavi”, come ha riconosciuto Greco?

"Difficile spiegare a chi è assunto, magari pure in smart working, cosa voglia dire prendere 3 euro a consegna con il rischio di mettersi di turno senza ricevere avvisi di lavoro. Difficile trovare qualcosa di buono nel cottimo. La favola della flessibilità è stata ora smascherata".

L’inchiesta evidenzia che di fatto non avete nemmeno libertà di decidere del vostro tempo perché si finisce penalizzati dall’algoritmo. È così?

"Noi non abbiamo un datore di lavoro visibile, questa app o algoritmo in mano alle aziende seleziona chi ha più meriti per lavorare stilando una classifica: se uno si ammala, se pedala più lentamente perché piove o ha avuto recensioni negative, finisce in fondo con meno possibilità di consegne. È una guerra tra poveri".

Invece delle monetine nella Tangentopoli delle piattaforme farete il lancio dell’algoritmo?

"Sì – ride – ma è stato disumano. Di questi tempi, abbiamo dovuto lottare perfino per ottenere le mascherine. Conosco rider restii a farsi il tampone per non perdere pochi euro di paga: è il cottimo, bellezza! Pochissime aziende, di solito più locali come quella per cui lavoro io (Mymenu, ndr.), concedono qualche tutela".

Con la pandemia è stato ancora più difficile?

"Sembrava di essere su Scherzi a parte: vedete, ci dicevano, le consegne di cibo non finiscono, siete indispensabili. E noi sempre a sfrecciare tra zone gialle, arancioni e rosse, correndo il rischio. Ma neanche un incentivo, un bonus, per gli ’eroi’".

Vi sentite la nuova classe operaia?

"So solo che in quattro anni di battaglie sindacali abbiamo visto passare tre governi (pure un tavolo dedicato con Luigi Di Maio) e nessuno ha messo nero su bianco qualcosa. Io sono fortunato perché lavoro a Bologna dove il Comune ha redatto la prima carta dei diritti in Europa, ma non dimentico nulla. Tra noi non ci sono solo gli studenti che arrotondano ma sempre più padri e madri di famiglia senza altri impieghi".

Come è iniziata la battaglia?

"Eravamo davvero ‘quattro amici al bar’ nel 2017, a sfogare rivendicazioni davanti a una birra dopo il lavoro. Ricordo il volantinaggio e le prime assemblee con 20 arditi. Molti tribunali ci stanno dando ragione e ora Greco. Siamo ormai 60mila rider da assumere. Noi e tutti gli sfruttati della gig economy".