Mercoledì 24 Aprile 2024

Il dirigente Juve chiamò il ministro. "Lo rifarei"

Caso Suarez, Paratici indagato tira dritto: io e la De Micheli siamo amici d’infanzia, non è reato fare domande. Ma il club medita l’addio

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di Gianmarco Marchini

Ogni direttore sportivo che si rispetti deve saper mentire al momento giusto. Perché, prima o poi, ci sarà da giurare che l’allenatore non rischia, quando invece il sostituto è già in viaggio. Con la sua dialettica e la sua ambizione, il piacentino Fabio Paratici ha bruciato le tappe da Borgonovo Val Tidone al vertice del calcio. Diploma da ragioniere e modesti trascorsi in campo, il 48enne, vacanze d’infanzia con i fratelli Inzaghi e una passione in comune per pallone e Nutella, è arrivato a controllare l’area sportiva di quella grande azienda chiamata Juventus. Da solo.

Peccato che ora quel ’solo’ suoni un che di thriller: solo come isolato, lasciato al proprio destino. Paratici, infatti, è indagato dalla procura di Perugia per "false dichiarazioni davanti ai pm" in merito a quel grande imbarazzo all’italiana che è stato l’esame linguistico a Luis Suarez. "Un esame farsa" per i magistrati a cui l’11 novembre scorso il dirigente juventino aveva negato qualsiasi tipo di intervento nella storia. Le indagini hanno fatto emergere un contatto col ministro dei Trasporti Paola De Micheli, che ha confermato la chiamata dell’"amico d’infanzia" per sapere "come completare le pratiche di cittadinanza". Ora la giustizia stabilirà se ci siano state false dichiarazioni o no.

"Sono molto tranquillo, rifarei tutto", scandiva ieri Paratici nel solito angolo tv pre-derby. "La De Micheli? Siamo amici da ragazzi, lei ha già chiarito. Non credo sia inopportuno chiedere informazioni a una persona che si conosce da tantissimo tempo, fare domande non è reato".

Cosa sia o non sia reato lo deciderà la giustizia ordinaria e parallelamente quella sportiva, perché la procura Figc ha già armato i suoi 007 e un’inchiesta. Ballano l’articolo 1 del Codice sportivo – violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità – e l’articolo 32 comma 7, relativo all’introduzione in Italia di calciatori extracomunitari che non ne avrebbero diritto. Potenzialmente la Juve rischia una semplice multa o una penalizzazione, fino allo scenario più drastico – al momento ingiustificato – di una retrocessione. Di certo c’è un grosso danno d’immagine che arriva nel momento forse più basso della scalata bianconera di Paratici. L’uomo, ricordiamolo, che portò nell’estate 2018 Ronaldo a Torino. Un Colpo che spinse il presidente Andrea Agnelli alla rottamazione per puntare alla Champions: via il vecchio Beppe Marotta, largo al giovane rampante Fabio. L’allievo che scalza il maestro. "Io conosco bene i giocatori, lui i numeri", diceva Paratici dell’altro. E proprio sull’affare del secolo – il più anziano non lo riteneva sostenibile – si ruppe l’idillio iniziato una decina d’anni prima a una cena: il giovane attaccò il classico "bottone" al più famoso, conquistandolo con la sua bibbia di talenti scritta a mano. Lavorerai con me alla Samp, gli disse Marotta: e insieme costruirono un miracolo tecnico, portando nel 2009 la Doria di Delneri, Pazzini e Cassano al quarto posto e in Champions.

Agnelli, intanto salito sul Trono di Spade bianconero, decise di trapiantare quel sodalizio a Torino per rifondare una Juve ancora con i postumi della B. Primo anno disastroso, Delneri cacciato. Poi il decollo a colpi di parametri zero e grandi intuizioni del duo. Otto scudetti di fila, il nono "solo" di Paratici che, però, nel frattempo ha speso un jolly pesante con Sarri, in cui Agnelli si forzò a credere per poi cacciarlo al primo Pirlo di turno. Un passo falso che nei mesi scorsi ha fatto vacillare la posizione dell’ambizioso piacentino, più volte vicino all’addio. Ma forse mai come ora.