Mercoledì 24 Aprile 2024

Il diario Gli anni ’70 e i grandi esodi Sfide tra amici a colpi di scorciatoie

C’era sempre qualcuno che giurava di conoscere una strada segreta per saltare tutte le file

Michele

Brambilla

Oggi è una giornata da bollino nero per il traffico oltre che per il caldo e quindi le istituzioni, le autorità competenti nonché gli immancabili esperti presenti sui media consigliano di non mettersi in viaggio: ma gli italiani, come ogni anno in queste occasioni, se ne sbatteranno l’anima e si metteranno in macchina; con lei che chiederà a lui che cosa ti è venuto in mente di fare proprio questa strada, lui che dirà a lei guarda quanta gente poi dicono che c’è la crisi, i bambini dietro che chiedono quanto manca. Che meraviglia le vacanze.

Non c’è slogan più maldestro di ‘partenza intelligente’. In fondo, anche di più offensivo: perché visto che nessuno rispetta il consiglio, vorrebbe dire che siamo un popolo di deficienti. Ma comunque, perché scegliamo di passare ore e ore sotto il sole, in coda, invocando l’intervento della protezione civile? Forse perché amiamo così tanto il lavoro che non vogliamo rinunciare a un solo minuto di vacanza.

Andate su YouTube e guardate i video degli anni Settanta. Era il tempo in cui la Fiat – e quindi, per riflesso condizionato, tutte le industrie italiane – chiudevano dal primo al 31 agosto. E quindi il 31 luglio di ogni anno scattava "il tradizionale esodo" (è il titolo di un celeberrimo pezzo di allora del più grande giornalista italiano di costume, Luca Goldoni). I video su YouTube ci ripropongono le immagini ai cancelli di Mirafiori l’ultimo giorno di lavoro: ci sono code infinite di auto stracariche di esseri viventi (umani e animali) e di bagagli e di vettovaglie in attesa che suoni la campanella ed esca dalla fabbrica l’operaio che ha finito il turno, ovvero il capofamiglia che sprezzante della fatica e della calura si mette, ancora in tuta da lavoro, alla guida in direzione Puglia, Campania, Calabria, Sicilia. Viaggi infiniti. E non erano le autostrade di adesso (le quali hanno i loro bei lavori in corso, ma sempre meglio di quelle di allora: la Milano-Torino, per dirne una, aveva una sola carreggiata per tre corsie: una che andava in giù, una che andava in su e quella in mezzo per i sorpassi. La chiamavano l’autostrada della morte).

In quegli anni i pochi patrioti che sceglievano le partenze intelligenti avevano due possibilità per non perdere comunque un solo giorno di vacanza: 1) partire di notte; 2) scegliere il famigerato percorso alternativo. Partire di notte aveva i suoi vantaggi anche perché all’epoca nessuno neanche immaginava che un giorno avrebbero inventato il condizionatore e, se si viaggiava di giorno, l’unica era tirar giù i finestrini e magari usare quei diabolici, e inutili, deflettori di plastica che in teoria avrebbero dovuto impedire che l’aria ti arrivasse in faccia.

Il percorso alternativo invece scatenava una vera competizione fra i vacanzieri: ciascuno si vantava di conoscere la strada giusta, e assicurava all’amico che l’avrebbe rivelata a lui e solo a lui. Partendo ad esempio da Milano per andare a Cervia, mio padre sceglieva la retta – ma piena di semafori e camion – via Emilia. Appena presa la patente, con alcuni amici escogitammo di bypassare anche la via Emilia percorrendo la provinciale: Milano, Paullo, Crema, Cremona, Mantova, Ferrara, Ravenna e infine Cervia. Ci si metteva un giorno intero, ma il viaggio consentiva anche alcune tappe culturali e soprattutto gastronomiche: memorabile un caseificio di Bondeno.

Altra competizione si scatenava per chi, la domenica sera, dalla riviera romagnola doveva tornare a Bologna. Sorrisi di compatimento a chi proponeva la solita Statale 9: quelli che la sapevano lunga si infilavano nella 253, la San Vitale, o sugli Stradelli Guelfi: ancora oggi, su Internet, se digiti Stradelli Guelfi ti esce, come prima voce, "come andare al mare saltando l’A14 e senza perdersi".

Ci sono insomma due possibilità per aggirare l’Italia del bollino nero: partire un giorno dopo, accorciando la vacanza, oppure accettare una giornata infernale di caldo e traffico. Ci sarebbe, in realtà, una terza possibilità, che si staglia al di sopra di ogni scelta intelligente: stare a casa.