Il detective del mare e la strage di balene. "La plastica non c'entra, ecco il killer"

Un veterinario veneto è tra i maggiori esperti al mondo di cetacei. "I loro nemici? Virus, condizioni del mare, inquinamento acustico"

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Il detective delle balene entra in azione ogni volta che il mare restituisce una sua creatura senza vita. Com’è successo a Sorrento, una storia che ha fatto il giro del mondo. Sandro Mazzariol, 45 anni, veterinario, professore associato di Anatomia patologica all’Università di Padova e responsabile del pronto intervento ‘Cetaceans strandings Emergency Response Team’ (Cert), è l’uomo che da 20 anni studia i misteri degli spiaggiamenti.

Balene, delfini o capodogli, uccisi dal morbillo ma non solo. Contano le condizioni ambientali del mare, i virus, le collisioni con le imbarcazioni ma anche l’inquinamento acustico, "dalle navi in transito ai lavori sottomarini, a tutta l’attività sonora che viene utilizzata per le comunicazioni. Alle balene il rumore dà molto fastidio. Non riescono a comunicare alle grandi distanze". Così, ad esempio, non possono scambiarsi informazioni vitali sulla presenza di cibo o predatori. Per le morti di cetacei il morbillovirus – parente del nostro morbillo – resta un sospettato privilegiato. "Di solito colpiva i delfini, oggi invece attacca tutti i grandi mammiferi del mondo, balene ma anche foche". Sicuramente fa più scalpore la plastica nello stomaco, "che però non è tanto causa di morte in sé ma può debilitare gli animali fino a renderli più suscettibili alle malattie. La troviamo soprattutto nei capodogli. Perché vanno veramente in profondità, hanno un comportamento predatorio che li porta ad aspirare il materiale sul fondo. Dove trovano di tutto". Non solo bottigliette.

Mazzariol da scienziato va controcorrente. "Non dobbiamo pensare che la plastica sia un problema davvero sostanziale, la si trova nel 4% degli animali che si spiaggiano ed è causa di morte in pochissimi casi".

Anche se il professore è abituato a mettere in fila gli indizi, proprio come si fa sulla scena di un crimine, non è scontato si arrivi a capire perché è morta la balenottera trovata a metà gennaio a Sorrento, l’esemplare più grande mai avvistato nel Mediterraneo, lunga quasi venti metri, 55 tonnellate di peso. Nessuna prova che sia la stessa, viva, ripresa in un video del giorno prima.

"Le autopsie, che da noi si chiamano necroscopie, non si concludono con la semplice valutazione macroscopica – mette in chiaro il veterinario –. Non siamo aruspici, per capire si devono concludere tutte le indagini di laboratorio". L’avanzato stato di decomposizione stavolta non ha aiutato.

Di certo la balenottera – trascinata fino ai cantieri navali di Napoli da una motovedetta della Capitaneria e oggi interrata a Sorrento, tra un anno si vorrebbe esporre il suo scheletro in un museo – aveva "una scoliosi in prossimità della coda, che poteva darle problemi nel movimento".

Mazzariol, nato a Porto Marghera, si è formato in Italia, "anche se questo è un ambito scientifico non così presente. Ho cominciato nel 2002, il lavoro mi porta a confrontarmi con i colleghi di tutto il mondo". Nello stesso giorno di Sorrento, per dire, "è stata trovata una balena morta anche in Kuwait. E abbiamo dato informazioni su come fare la necroscopia". Studia i delfini – da vivi –, "facciamo parte di Life delfi, progetto europeo, partner dell’area protetta di Punta Campanella, che sta valutando come quando e dove ricostruire lo scheletro della balena".

Ma che cosa ci faceva in Campania? Nessuno stupore. Questo cetaceo vive prevalentemente nel Santuario Pelagos, nel triangolo tra Francia, Monaco e Italia, "dopo l’estate migra verso sud, Mediterraneo centrale, Ionio, canale di Sicilia. Poi ritorna". Nelle nostre acque si trova anche il capodoglio di Moby Dick. Ma più che il capolavoro di Melville – "confesso, l’ho finito in età adulta" –, Mazzariol ricorda bene "i due spiaggiamenti di massa nel 2009 e nel 2014 lungo l’Adriatico". In Italia vivono un migliaio di esemplari. Con il loro carico di misteri. "E noi cerchiamo di capire anche questo. Non solo come muoiono ma anche come vivono". Perché i cetacei sono le sentinelle delle acque.