Giovedì 18 Aprile 2024

Il deluso della ricerca in Rete "Era come sfogliare figurine"

di Alessandro Belardetti

Simone, perché ha iniziato a usare le app di incontri?

"Nei primi anni Duemila – racconta l’informatico milanese di 48 anni –, stavano emergendo le prime app di incontri, come Annunci.it. C’era quasi da vergognarsi a dire di essersi iscritto, era un’epoca pre social. Io ero single, avevo 28 anni, e volevo conoscere altre persone. Poi mi sono fidanzato e per 9 anni non le ho più usate".

E dopo?

"Non avevo più la ragazza e sono ritornato in quelle community,a cominciare da Meetic, dove ognuno poteva parlare con tutti. C’era anche un qualcosa di misterioso, spesso non si caricavano le foto e bisognava chiedere il numero di telefono".

Cosa le è piaciuto di questi flirt?

"Nel complesso ho avuto belle esperienze, ancora adesso sono in contatto con amiche e amici".

I lati negativi?

"I rapporti sono troppo veloci e poco approfonditi. È come sfogliare le figurine, siamo prede degli algoritmi. Siamo talmente circondati dalla possibilità di conoscere persone, che non ci dedichiamo tempo e impegno".

Si è mai sentito schiavo di queste app?

"Le usavo per qualche giorno poi avevo la nausea, perché non costruivo niente di serio. Si entra nei profili e nella vita delle persone: spesso si fa solo quello, le app ti alienano. Il meccanismo alla base è quello di input-output: ricevi un ’like’ che ti dà la scarica di endorfina, trattenendoti il più possibile on line".

Tornasse indietro, rifarebbe tutto oppure sceglierebbe la via dell’incontro viso-a-viso?

"Non sono pentito, ma mi rendo conto che preferisco la realtà rispetto alle app e ai social. A furia di seguire gli algoritmi, questa efficienza rende l’amore qualcosa di mediato da un calcolo e raffredda tutto. Le relazioni devono anche succedere a caso".

Quante persone ha incontrato on line?

"In vent’anni sarò uscito con 50 persone, non tantissime".

Qual è stata l’uscita più bella?

"Ero su Adottaunragazzo.it e lei mi ha proposto di vedersi all’Istituto dei ciechi di Milano. Abbiamo fatto una cena al buio totale, una delle serate più belle della mia vita. Poi siamo stati insieme per due anni".

E la più brutta?

"Dopo il lockdown ho trovato una ragazza traumatizzata dal Covid. Quando ci siamo visti mi ha vietato di avvicinarmi e le sue regole me le ha spiegate in chat: ci vediamo tra un mese, non mi puoi toccare o baciare. Disinfettava anche i soldi. Dopo quella birra non ci siamo più sentiti".

L’apparenza della chat poi si mantiene nella realtà oppure le persone sono totalmente diverse?

"È più un problema degli uomini che delle donne. Prima di vedere una persona, io scrivo molto in chat poi facciamo anche telefonate. Così quando c’è l’incontro, l’idea corrisponde alla realtà. Molte ragazze mi raccontano che i maschi sono diversi da come si presentano. Corteggiare è un’arte, ma lo è anche chattare: servono impegno e attenzione".

Se dovesse dare un consiglio agli sviluppatori delle app, quale miglioramento proporrebbe?

"Oggi funzionerebbero meglio se si limitasse l’ingresso degli utenti. Poi bisognerebbe consentire di poter condividere le esperienze, perché uniscono e consentono di costruire".