
La guerra dei voli continua. Ieri l’ennesimo scontro al calor bianco fra i vertici della Ryanair e il governo. Pomo della discordia, neanche a dirlo, il decreto del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per calmierare in qualche modo l’impennata dei biglietti aerei degli ultimi mesi. Un provvedimento che il numero uno della compagnia low cost irlandese, Michael O’Leary, non ha ancora digerito. Anzi, ieri, è ripartito all’attacco, festeggiando nel peggior modo possibile le nozze d’argento con l’Italia, vale a dire i 25 anni dal primo volo della compagnia nel nostro Paese. Nel mirino, questa volta, è finito il presidente dell’Enac, Pierluigi Di Palma, al quale il manager ha rivolto non solo accuse pesanti ma ha chiesto le sue dimissioni. "Deve andare via perché ha fornito informazioni false al governo".
L’elenco delle presunte bugie è lungo. E il numero uno della compagnia è stato categorico: "Ci sono state false affermazioni sui biglietti aerei (inesistenti) da 1.000 euro, sugli algoritmi inesistenti relativi a telefoni cellulari, geolocalizzazioni o browser Internet e false affermazioni, sui regimi di oligopolio nel mercato italiano". La replica del numero uno dell’Enac non si è fatto attendere: "Il mio mandato è a disposizione del governo – replica Di Palma –. Più volte ho richiamato O’Leary a tenere un profilo più istituzionale. Da amico, uno può anche divertirsi ma da presidente dell’autorità del trasporto aereo sentirsi dire da un amministratore delegato un fatto del genere è abbastanza grave. Il mio mandato ogni giorno è a disposizione del governo italiano, sicuramente non mi faccio dire una cosa così grave da un amministratore delegato di una compagnia aerea".
A far salire il tenore delle polemiche anche la decisione dei vertici dell’azienda irlandese di lasciare il tavolo tecnico sul settore avviato proprio ieri dal ministro Urso, prima della fine della riunione. "Dovevano prendere un aereo ma è chiaro che si aspetta che il ministro vada via prima di lasciare una riunione con il governo. Sinceramente il garbo istituzionale è un po’ carente". Non è la prima volta che Ryanair si scaglia contro il governo. A cominciare dallo scontro, sempre con l’Enac, sui documenti richiesti per l’imbarco. Oppure gli attacchi sulla vicenda Alitalia, poi diventata Ita. Fino a minacciare, addirittura, di lasciare il Paese. Minaccia poi rientrata dopo la decisione del Mimit di convocare un tavolo di confronto. Ora, O’Leary parla di un taglio di voli sulla Sicilia. Ma sicuramente, quella di ridurre la presenza nel nostro Paese non è una scelta che la compagnia irlandese prenderebbe certo a cuor leggero visto che significa lasciare non solo uno dei mercati più ricchi europei ma un mercato dove ha acquistato una posizione di leadership. Si vedrà.
Nel frattempo, il ministro delle Imprese, pur sottolineando "il fenomeno anomalo dei milioni di incentivi ricevuti ogni anno da Ryanair", non vuole alimentare nuove polemiche e difende senza mezzi termini il decreto contestato da Ryanair: "La cosa importante è che tutte le autorità competenti abbiano giudicato positivamente l’iniziativa del governo, è una rarità. Questo ci dice che siamo sulla strada giusta per realizzare un mercato libero". Il decreto potrà registrare ulteriori modifiche nelle prossime settimane per conferire alle Authority poteri maggiori per garantire ai consumatori e ai vettori la massima trasparenza sulla formazione dei prezzi e sulle risorse che ciascun aeroporto intende investire per la sua connettività".
Urso ha anche voluto lanciare un messaggio esplicito a Bruxelles che non ha ancora dato il suo via libera alle nozze fra Ita e Lufthansa: "Sarebbe assurdo e incomprensibile che dalla Ue ci fossero “freni“ alla fusione tra Ita e Lufthansa. Il giudizio dovrebbe non solo essere positivo ma lodevole dal momento che l’Europa ha chiesto a tutti i governi che ci hanno preceduto di risolvere la questione ex Alitalia attraverso una privatizzazione". Infine, la stoccata finale: "I commissari europei non possono utilizzare il loro ruolo per prepararsi alle campagne elettorali nazionali, come hanno fatto Timmermans e Vestager".