Mercoledì 24 Aprile 2024

Il debole Biden e il caso Taiwan Bastava già Kiev

Cesare

De Carlo

Nancy Pelosi, l’eterna Speaker del Congresso, veste le penne del falco e inserisce senza dirlo una sosta a Taiwan nel viaggio in Asia. Una sosta non è una visita di Stato. È quasi uno stop over. Ma la Cina comunista è furiosa. Minaccia "serie punizioni". Mobilita aerei e navi nello stretto che la separa dall’isola dei fratelli separati. E il Pentagono invia d’urgenza il gruppo della superportaerei ‘’Ronald Reagan’’ e allerta i bombardieri nucleari di Okinawa. Impensabile che l’aereo della Pelosi venga abbattuto. Ma si apre un altro drammatico confronto perché la Cina vuole recuperare l’ex Formosa di Chiang Kaishek mentre gli Stati Uniti sono garanti della sua libertà.

Di qui la domanda: c’era bisogno di un’altra Ucraina dalle prospettive molto più devastanti? Ovviamente no. Il viaggio della combattiva signora italoamericana è inutile e provocatorio. Non è un giudizio arbitrario. Per lo stesso Pentagono "non era una buona idea". Ma Biden non lo ha ascoltato. Intende riconfermare l’impegno americano in difesa di Taiwan. Non sarebbe bastata la presenza di una seconda portaerei? In realtà il meno popolare presidente americano a memoria d’uomo è in caccia di riabilitazione. In un anno e mezzo la sua politica estera è stata una collezione di fallimenti, dall’Afghanistan all’Ucraina, all’Iran, all’Arabia Saudita. Su Taiwan non vuole dare l’impressione di cedere al "non scherzare col fuoco" di Xi Jinping. Ma osa a metà e si rifugia nella formula di una patetica sosta tecnica, magari notturna. Quale che sia la reazione cinese, stupisce una volta di più la logica di una tale realpolitik.

Gli antichi romani ammonivano: un nemico alla volta. Biden li ricompatta tutti contemporaneamente: russi, cinesi, iraniani. Sembra avere rispolverato lo slogan: molti nemici, molto onore. Lui non lo sa. Ma era della ‘’buonanima’’. Si sa come andò a finire. ([email protected])