Lorenzo
Bianchi
Dopo il gas, il grano. Vladimir Putin vorrebbe limitare la portata delle esportazioni attraverso il Mar Nero. Sostiene che finiscono in Europa e non nei Paesi poveri dell’Africa. Annuncia che ne parlerà con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, mentore e regista dell’accordo che ha acceso il semaforo verde alle navi cariche di cereali bloccate dall’invasione russa nei porti dell’Ucraina. Putin ha sciorinato alcune cifre per dare corpo alla sua tesi: solo 2 navi su 87 si sono dirette verso Paesi in via di sviluppo ai quali sarebbero arrivate 60 mila tonnellate di grano sul milione spedito all’estero. "Ancora una volta i Paesi poveri vengono presi in giro con una forma di colonialismo moderno che perpetua quello del passato", polemizza il presidente russo.
Erdoğan, tanto per cambiare, critica i suoi alleati tradizionali. "Non approvo – ha detto – l’approccio dell’Occidente sulla guerra fra la Russia e l’Ucraina, segue infatti una linea che si basa sulla provocazione. Il conflitto non finirà tanto presto. A chi prende la Russia alla leggera dico che si sbaglia, non è un Paese da sottovalutare".
L’anno scorso la Turchia ha importato dalla Russia un quarto del suo fabbisogno di petrolio e il 45 per cento di quello di gas. I turisti di Mosca affollano le spiagge dell’Anatolia. In vista delle elezioni presidenziali e parlamentari del 2023 il capo dello stato turco sembra convinto che la visibilità sullo scacchiere internazionale possa oscurare i disastri dell’economia interna. In Turchia i prezzi al consumo crescono dell’80 per cento all’anno. Erdoğan considera una sorta di insulto personale il rialzo dei tassi di interesse e così nel 2021 la lira di Ankara ha perso il 48 per cento del suo valore sul dollaro. Meglio esibirsi in prestigiosi e funambolici ruoli di mediazione sul conflitto in Ucraina. In patria c’è poco da stare allegri.