Il corriere suona sempre una volta

Giorgio

Comaschi

Ma cosa vedono i corrieri? Quegli uomini che piombano a casa nostra a consegnarci il pacco del nostro ultimo acquisto? Che percezione hanno di noi? C’è gente che corre ad aprire in mutande, in calzini con infradito, sgocciolanti di doccia, con i capelli arruffati e lo sguardo perso, perché magari sorpresi in una piacevole pratica sentimentale. Sì perché se suona il corriere non c’è niente da fare, bisogna aprire.

È come la chiamata del’Intelligence a James Bond mentre è con la sua ultima fiamma. Bisogna scattare sull’attenti. E allora i corrieri (alcuni no, alcuni lanciano i pacchi nei giardini come a Paperopoli) ci sorprendono nella nostra intimità e ci fotografano in un attimo (meno male solo metaforicamente, sennò sai che figure su Instagram e Facebook): donne con piramidi di bigodini e ciabatte del marito, o con tinture viola a metà, che il corriere forse si prende un po’ paura, signore che escono con accappatoi a volte in posture affascinanti, a volte no. Ragazze con volti coperti di creme, di terra rossa, o bianca, o marrone, come in un film di zombi.

Il problema è che in quello stato spesso c’è da firmare. Ed è lì che il corriere realizza, è lì che siamo nudi, a parte che a volte siamo nudi proprio fisicamente. Non è più "Santo cielo, mio marito!". È "Santo cielo, il corriere!". Un mondo di uomini e donne sorpresi in flagrante. Sì, i corrieri potrebbero scrivere un libro su come siamo, su come non vorremmo mai farci vedere, sul fatto che quel bel vestitino che stiamo ritirando, al suo occhio, sarà un cataclisma estetico. Salvo rari casi, tipo qualche signora che va a farsi la permanente dal parrucchiere perché deve arrivare il corriere, siamo colti in quella che è la nostra essenza, in ciò che siamo veramente, senza maschera, senza trucco, senza cravatte, senza veli. E intanto il corriere va, di porta in porta, a fare la sua raccolta indifferenziata di impressioni. Indifferenziata perché "sembra" indifferente. Ma non è mica così.