Roma, 31 agosto 2023 – Dopo il golpe in Sahel del mese scorso, un altro Paese dell’Africa francofona cade sotto il controllo dei militari. Questa volta è toccato al Gabon, dove il potere è passato nelle mani del capo dei putschisti, il generale Brice Oliqui Nguema, nominato "presidente della transizione". Appena sabato scorso si erano tenute le elezioni il cui risultato era stato contestato, e che avevano consegnato a Ali Bongo Ondimba il terzo mandato (col 64% dei voti) da capo dello Stato. Ma parlare di effetto domino è prematuro.

Professor Giovanni Carbone, docente alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano e responsabile del programma Africa dell’Ispi, che idea di è fatto del colpo di Stato In Gabon?
"Per parlare di colpo di Stato riuscito, sarebbe opportuno aspettare una settimana. Posto questo, si tratta sicuramente di un golpe ancora più sorprendente dei precedenti. Penso a quelli avvenuti nei Paesi della regione del Sahel, che sono accomunati da un livello di sviluppo basso e da altri colpi di Stato che si sono succeduti in passato. Il Gabon non è un Paese così fragile economicamente e sulla carta ha risorse ben maggiori rispetto a Paesi come Burkina Faso, e Mali o Niger. In più, non ha una tradizione di golpe alle spalle: per Libreville si tratta di una prima volta. Per questo, quello iniziato in queste ore, giunge come inatteso. Questo significa che la presa del potere da parte di giunte militari potrebbe non essere più un fenomeno limitato a un’area di crisi molto problematica come il Sahel, ma fa sorgere nuovi interrogativi su dove si stia estendendo e dove si possa fermare fermare questa ondata".
Si rischia un effetto domino intutto il continente?
"La situazione va monitorata ma questo non significa che i militari sono pronti a uscire dalle caserme in tutti gli Stati dell’Africa. Anche perché c’è tutta un’area del continente che è rimasta storicamente immune da episodi del genere. Molti paesi dell’est e a sud non hanno mai subito colpi di Stato, come pure Kenya, Tanzania, Zambia, Malawi, Monzambico, Angola, Botswana e Namibia. Però, a monte, c’è una situazione di ridotta difesa o ridotta capacità di difendersi dei regimi e dei presidenti democraticamente eletti. Riflette un contesto che si è sviluppato a livello globale. La democrazia subisce battute di arresto in tante regioni del mondo. Questo è avvenuto anche in Africa e i colpi di Stato sono la manifestazione più eclatante di tutto questo. Ma è un fenomeno che, seppure in modo preoccupante, fino a questo momento ha interessato "solo" sei Paesi dei 49 paesi subsahariani, che salgono a 54 se consideriamo quelli dell’Africa del Nord".
Ragionando sul futuro a medio termine, quali sono secondo lei i Paesi che in questo momento devono fare più attenzione?
"Forse conviene pensare a quale sarebbe il Paese più preoccupante per uno sviluppo di questo tipo. E indubbiamente il mio pensiero va alla Nigeria. È uno Stato di un’importanza geopolitica ed economica straordinarie ed è esso stesso un Paese con una forte tradizione di interventi militari in passato, fino all’introduzione delle elezioni nel 1999".
Quali sono le potenze straniere più influenti nei Paesi dove si sono verificati questi golpe?
"Sicuramente la Russia è stata quella legata più da vicino agli sviluppi politici interni in Paesi come il Mali, il Burkina Faso o il Niger. Ma questi eventi accadono anche per dinamiche interne. Poi spesso si tratta di Paesi francofoni che hanno anche desiderio di voltare le spalle alla Francia, e a quel punto trovano pronte Cina, Russia e Turchia".