di Ettore Maria Colombo Di solito, e da molti anni, la ricorrenza del 25 aprile si gioca sul filo della memoria. Fu legittima la resistenza armata all’invasore? I partigiani compirono torti, oltre che subirli? Chi combatté dall’altra parte, i repubblichini di Salò, i “vinti“, ha diritto a una memoria condivisa? Ecco, tutto questo, mai come quest’anno, è stato spazzato via dall’attualità. La guerra in Ucraina e il diritto degli invasi a resistere all’invasore ha monopolizzato il dibattito, trascinando con sé l’Anpi, le sue prese di posizioni (ambigue) e anche le polemiche che, come ogni 25 aprile, attraversano i cortei, con tanto di contestazioni. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, partecipando alle commemorazioni ad Acerra, dove nel 1943 vi fu una terribile strage nazista di civili inermi, ha trovato le parole migliori, unendo passato e presente. La Resistenza è soprattutto "opporsi a un’invasione straniera, frutto dell’arbitrio e contraria al diritto" ha detto il Capo dello Stato, cucendo insieme, a doppio filo, la lotta di liberazione e la guerra in Ucraina e mettendo un punto definitivo ai distinguo di quanti, legando Resistenza e pacifismo, dimenticano che la lotta di liberazione vide un popolo in armi contro l’invasore tedesco. Mattarella ha anche dedicato idealmente all’Ucraina la canzone simbolo della Resistenza, Bella Ciao. Quando, il 24 febbraio, ha spiegato il presidente con un ricordo personale, seppi che la Russia aveva invaso l’Ucraina "ho avvertito un pesante senso di allarme, di tristezza, di indignazione" e, pensando agli ucraini, "svegliati dalle bombe mi sono venute in mente queste parole: “Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor“". La Resistenza quindi, si fa anche con le armi ed è giusto assegnare agli ucraini "il titolo di resistente", come gli italiani: vanno aiutati in ogni modo e con ogni strumento. Ma se l’ombrello del Quirinale è aperto sopra palazzo ...
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