Il cognome non può essere solo del padre

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Marco

Buticchi

Considero discriminatoria verso le donne ogni forzata manifestazione di uguaglianza. Abolirei festa della donna, quote rosa e livellamenti salariali mal rispettati. Servono soltanto a mascherare un machismo decrepito con atti di falsa benevolenza e a mai raggiungere la parità tra i sessi. Ho però accolto la decisione della Corte Costituzionale sulla scelta del cognome del neonato, tra quello della madre o del padre, con estremo favore. La Consulta ha infatti decretato l’imposizione obbligatoria del cognome paterno come "tramontata potestà maritale". Se penso che, fino agli anni ‘70, i figli nati fuori dal matrimonio erano marcati all’anagrafe come figli di madre ignota! Oggi sembrano diritti inalienabili.

Ma ‘soltanto’ cinquant’anni fa, parevano normali certe violenze psicologiche ai danni delle donne. Forse erano – e ancor oggi ne vediamo traccia in alcune culture – prepotenze per garantire inesistenti supremazie ‘per chi porta i pantaloni’. O forse un primo cenno di debolezza di dogmi senza fondamento, scalzati dall’incedere del futuro. Ben vengano allora rispetto e intoccabilità delle altrui condizioni, delle scelte e delle volontà. Solo credendo nell’uguaglianza traguarderemo mete sempre più ambite mentre, al contrario, discriminando e asfissiando per cancellare capacità, resteremo al palo. Poter scegliere il nome di chi si è messo al mondo è un altro passo. A forza di piccole conquiste, arriveremo in vetta.