Martedì 16 Aprile 2024

Il clima da Guerra Fredda "Gli Usa e anche Mosca ostili al Pci nella stanza dei bottoni"

Lo storico Giovanni De Luna rilegge l’articolo dello statista Dc destinato al Giorno nel gennaio 1978 "C’è tutta la preoccupazione e il fastidio di Moro per le interferenze esterne sulle scelte italiane"

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di Guido Bandera

"Ma c’è una motivazione ufficiale per la quale quell’articolo fu rifiutato?". Il tono è attento, assorto, sorpreso. Prima di rispondere all’intervista Giovanni De Luna, storico, scrittore e docente di storia contemporanea, fa i conti con il documento che ha davanti. Lo soppesa, poi lo promuove. "Indubbiamente è Moro. È molto interessante, fate bene a valorizzarlo". Il racconto parte dalle collaborazioni dello statista democristiano con “Il Giorno“ diretto da Gaetano Afeltra. Che rifiuta il pezzo, fin qui mai pubblicato.

Che cosa la colpisce?

"Due fatti. La prima è che quando si riferisce all’alleanza che sta nascendo con il Partito comunista italiano, Moro parla di una contingenza, di una situazione specifica in un momento di crisi. Per Enrico Berlinguer quella era l’occasione per l’incontro strategico fra le masse operaie e cattoliche, Moro in questo articolo la descrive invece come di una necessità in una situazione di emergenza. Certo, non ci dice cosa pensava sarebbe accaduto dopo, ma circoscrive chiaramente la portata di quell’accordo".

Moro, lavorava alla nascita del governo con i comunisti e puntava forse a rendere il patto meno indigesto agli oppositori interni e agli americani...

"E questo è il secondo elemento interessante del testo. Pur nella sua abituale prosa, sono singolari i toni, la chiarezza, con cui rintuzza le pressioni e le prese di posizione americane: questo è il nostro Paese, lasciateci lavorare, abbiate fiducia in noi".

Modi non abituali?

"Lo stile, il lessico, è quello tipico di Moro, la sostanza è infastidita, decisa. Un tono spazientito, esplicito e seccato con gli Usa, ma non solo".

Anche oltrecortina non amavano l’idea di un accordo Dc-Pci...

"E infatti Moro parla di pareri autorevoli, pur se di stampa, contro questa ipotesi anche a Est".

Il segretario di Stato americano Henry Kissinger, secondo diverse ricostruzioni e le parole dello stesso segretario, Corrado Guerzoni, lo avrebbe diffidato a inizio anni Settanta a procedere su quella strada. I russi non erano contenti: un destino segnato quello di Moro?

"Guardi, lo dico con chiarezza: tutto ciò che riguarda la situazione geopolitica, nella complessa costruzione di un’alleanza fra Pci e Dc, ha avuto un peso. Ma la partita si è giocata in Italia. Il ruolo del Pci, la fine della conflittualità operaia: a contare è il contesto".

Gli equilibri stavano cambiando?

"Prima di tutto nella società. Quell’anno, il 1978, non è solo quello del rapimento di Moro. Il 1977 era stato segnato dall’uscita della “Febbre del sabato sera“, dodici mesi dopo le discoteche sono aumentate del 150%. L’Italia stava cambiando. Sparivano, progressivamente, le grandi fabbriche con le enormi concentrazioni di operai. Nel 1980 il sindacato viene sconfitto nella storica vertenza con la Fiat, a Mirafiori partono licenziamenti. Fra il 1971 e il 1981 il numero di imprenditori in Lombardia aumenta dell’80%. Meno grandi industrie, più piccole e medie imprese. Si fa strada il modello casa-capannone, il sistema Nordest. Nel 1979 nasce la prima lista leghista...".

Eppure Moro evoca nel suo articolo rischi di "eventi traumatici". Pericoli per la democrazia?

"Non credo. Certo, ragiono con il senno di poi. L’epilogo tragico di Moro è anche la fine di un’età politica. Ma i segnali che la società fosse già mutata c’erano tutti, a leggerli oggi. All’epoca, lo ricordo, il rapimento mi fece paura. Temevo che le Brigate rosse vincessero davvero. Ma quella fu invece la loro fine. L’Italia era già altrove".

E la politica lo aveva capito?

"Non tutti. Il Pci aveva ancora una visione novecentesca, legata a schemi datati, una struttura complessa, diversa dall’agile vascello del Psi di Craxi, che forse aveva intuito la direzione dell’evoluzione del Paese. La forma partito si stava logorando. Ma Berlinguer, quando parla della questione morale nell’intervista a Scalfari del 1981 prevede la malattia che dieci anni dopo esploderà con Mani Pulite".

Che resta di quella stagione?

"Poco. È una storia del Novecento, confinata lì. Eppure la politica allora sapeva tenere insieme valori e interessi. Cultura e materialità. Con i partiti si è perso anche questo".